Cristiani perseguitati

Parola di vescovo

Da oltre due mesi lo Stato indiano dell’Orissa è teatro di episodi di violenza tra le comunità cristiane e i fanatici induisti. Epicentro degli scontri è il distretto di Kandhamal, dove gli induisti stanno distruggendo i luoghi di culto e le abitazioni dei cristiani. Per quanto ci è dato di conoscere, il bilancio delle violenze è di 59 morti, 115 chiese cristiane incendiate e distrutte (ad esempio la chiesa ‘Piccolo Fiore’ a Tikamgarh nel Madhya Pradesh), abitazioni danneggiate, e 50.000 cristiani sfollati che trovano rifugio nelle foreste, dove continuano a ricevere minacce dai fondamentalisti (es. una missionaria laica, Rafani Majhi, muore nel rogo di un orfanotrofio mentre cercava di mettere in salvo trenta bambini; a Gonikopa quattro seminaristi, che erano in visita a famiglie di operai, sono stati ferocemente malmenati). L’episodio che ha fatto esplodere le persecuzioni risale al 23 agosto, quando l’uccisione del radicale indù Swami Laxananda è stata attribuita ai cristiani, anche se la polizia ha identificato come responsabili i maoisti. Swami era stato accusato di avere ispirato la precedente fase di violenza nel dicembre 1997. Il massacro dell’ultimo mese non è che il secondo tempo di una partita cominciata da molti anni. I responsabili principali delle minacce sono considerati i radicali del Visha Hindu Parishad che costringono i tribali convertiti al cristianesimo a riconvertirsi all’induismo dietro pesanti minacce. I gruppi fondamentalisti girano per i villaggi dell’Orissa per far firmare un documento in cui i cristiani attestino la conversione all’induismo. Laddove i gruppi estremisti mescolano il fondamentalismo religioso al nazionalismo più estremo, dando una loro interpretazione dell’induismo di Ghandi, il governo centrale indiano sembra restare inerme. L’Orissa è una delle zone indiane più povere, identificata per tradizione con i livelli più discriminati della popolazione: i quattro quinti degli abitanti sono ‘intoccabili’ o paria o dalit (che letteralmente significa ‘calpestati’), cioè nella scala sociale sono ‘fuori casta’, vale a dire senza diritti, senza dignità. Ho citato prima il Mahatma Gandhi, il quale pur rimanendo induista ha fatto capire agli indiani che anche i paria o dalit sono figli di Dio. Ma coloro che attaccano i cristiani stanno usando la religione per coprire un’inimicizia che ha profonde motivazioni sociali. I cristiani sono malvisti perché aiutano i più deboli, offrendo loro la possibilità di elevazione sociale. In questo modo vanno a mettere in discussione i pilastri sui quali si basa la società indiana, cioè la divisione in caste. Purtroppo, con la sola eccezione della stampa cattolica, i mezzi di comunicazione non hanno dato alcun risalto al fatto che lo scorso 6 settembre la Conferenza episcopale italiana avesse indetto una giornata di preghiera e digiuno per i cristiani perseguitati dai fondamentalisti indù. Come fosse solo una faccenda interna alla Chiesa! Le notizie sulle uccisioni dei cristiani che avvengono da diverse settimane nello Stato indiano di Orissa sono state naturalmente pubblicate (alcuni giorni fa sono state aggredite quattro suore della congregazione di Madre Teresa di Calcutta). Così come vengono, di solito, pubblicate le notizie sui periodici massacri di cristiani in diversi Paesi islamici. Ma quando queste cose accadono ci si limita a registrare i fatti per lo più senza commenti. Eccezionalmente fece scalpore nel 2006 l’uccisione di un sacerdote italiano in Turchia, don Santoro, ma la causa è da attribuire, oltre che alla nazionalità del sacerdote, al fatto che la Turchia abbia chiesto di entrare nell’Unione europea. Sembra che per noi, e per l’Europa, il fatto che in tante parti del mondo persone di fede cristiana vengano perseguitate, e spesso anche uccise, non sia un problema sul quale sensibilizzare l’opinione pubblica. Eppure i fatti sono chiari per tutti. In un periodo di risveglio religioso generalizzato, sono ricominciate in molti luoghi le guerre di religione, ma con una particolarità: in queste guerre i cristiani sono solo vittime, mai carnefici. Da dove deriva tanto disinteresse per la loro sorte?

AUTORE: Pellegrino Tomaso Ronchi