Nel corso della crisi russa che vedeva la rivolta del capo della formazione mercenaria Wagner, più volte e da più parti, anche commentatori esperti di politica estera, hanno rispolverato l’espressione proverbiale: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Naturalmente con questo intendevano riferirsi a Prigozhin che, essendosi presentato come nemico di Putin, diventava immediatamente alleato delle forze democratiche dell’occidente. Una mentalità di questo genere, che ha peraltro trovato un vasto consenso, è molto più che una semplice sospensione della valutazione etica.
Non ci si può alleare con chi si è macchiato di orribili crudeltà nel corso dei conflitti e ha portato al fronte persone “graziate” che si erano macchiate di reati tra i più riprovevoli quali stupri e femminicidi. Per queste ragioni, i rappresentanti dei movimenti russi per la pace, in patria e in esilio, non hanno mai esitato a denunciare le violazioni dei diritti umani tanto del presidente della Federazione russa quanto del capo di un esercito mercenario che continua a macchiarsi di orrori in Ucraina, in Siria e in tanti Paesi africani. Bisognerebbe piuttosto scommettere e investire sulla popolazione russa, sulla sua sete di democrazia e sulla volontà di riprendersi in mano pacificamente il proprio destino.