Migrazioni, un vero segno dei tempi

Il Governo in carica ha costruito il suo successo elettorale sfruttando, fra l’altro, anche i timori e le diffidenze di buona parte della popolazione per l’arrivo di tanti profughi e/o immigrati dalle aree svantaggiate del pianeta.

Si capisce dunque come si trovi in imbarazzo ora che, all’atto pratico, fermare quell’esodo si rivela impossibile, quanto meno con gli strumenti tentati finora: come minacciare ammende di migliaia di euro (che nessuno pagherà mai) per il reato di clandestinità, vietare ai datori di lavoro di assumere – regolarizzandoli – gli irregolari, fare la faccia feroce con i soccorritori, criminalizzare gli scafisti. Al di là delle valutazioni morali, sono mezzucci inefficaci.

Dobbiamo capire che quello che accade nei nostri mari e alle nostre frontiere è solo la frangia di cambiamenti radicali dell’umanità. Appena trenta anni fa, la popolazione dell’Europa e quella dell’Africa erano praticamente equivalenti, circa 700 milioni ciascuna. Da allora quella africana è raddoppiata, circa 1.400 milioni, mentre quella europea è rimasta ferma, e alcuni Paesi (come l’Italia) sono in calo. In parole povere, l’Africa – che già non se la passava benissimo – nel giro di trent’anni si è trovata a dover sfamare 700 milioni di persone in più. E lì, i nuovi nati di ogni anno sono più di quelli dell’anno prima, man mano che le nuove classi di età, più folte, divengono capaci di procreare a loro volta (in Italia accade l’inverso); quindi la crescita è sempre più veloce.

L’aumento della popolazione in Asia è meno spettacolare, ma anche lì non si scherza: 3.400 milioni trent’anni fa, 4.600 milioni oggi. Si potrebbe continuare nel confronto fra indici demografici. Ma se si passa agli indicatori sociali ed economici, tutto si rovescia: la povertà e l’arretratezza dilagano nei Paesi dove più forte è la crescita demografica, e viceversa. Il benessere generalizzato della vecchia Europa (anche se ci sono fasce di popolazione disagiata) è in contrasto sempre più stridente con la povertà del Sud del mondo. Non vogliamo adesso discutere delle cause né delle eventuali colpe.

Basta mettere in luce che questi squilibri ci sono; non possiamo illuderci che gli “altri” non se ne rendano conto e non vengano – a ogni costo – a bussare alla nostra porta.

LASCIA UN COMMENTO