Il sorpasso di pubblicani e prostitute

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XXVI Domenica del tempo ordinario - anno A

Diamo spesso per scontato che noi siamo i veri credenti graditi a Dio; gli altri che sono fuori della Chiesa sono i lontani, i maledetti, senza speranza. Oggi si direbbe che sono clandestini, senza permesso di soggiorno; sono cittadini irregolari da scacciare o tenere lontani dalle nostre comunità. Questo atteggiamento puritano, che ci fa guardare i lontani come degli esclusi, serpeggia tra noi, anche se non lo manifestiamo apertamente. Il Vangelo oggi mette a confronto due figli: nell’ordine, il disobbediente obbediente e l’obbediente disobbediente. In alcuni codici antichi l’ordine è invertito, ma la sostanza non cambia. La nuova traduzione italiana segue la lezione del Codice vaticano e di altri, adottata anche dalla Vulgata latina: il primo figlio in un primo tempo si rifiuta di ubbidire, ma poi si pente e compie la volontà del padre; il secondo figlio si mostra ossequiente a parole, ma poi si rifiuta di ubbidire.

Gesù chiama gli ascoltatori a giudicare l’atteggiamento dei due figli così diversi, perciò inizia il suo racconto con una domanda coinvolgente, che fa appello alla loro esperienza di padri. È una domanda provocatoria rivolta, nel tempio di Gerusalemme, ai capi religiosi della nazione. Vuole costringerli a riflettere, perché si ritenevano a posto con Dio e, poco prima, avevano criticato aspramente l’autorità di Gesù maestro: “Con quale autorità fai questo?” (21,23). Poi si erano sottratti al dialogo, irrigiditi sulle loro false certezze. Ora non possono fare a meno di rispondere, anche perché il dialogo è impostato in maniera tale che la risposta appare scontata. Non sospettano che dietro una di quelle due figure di figli così diversi ci sono loro. Il primo figlio, con una certa dose di maleducazione, aveva opposto un rifiuto netto alla richiesta del padre. Ma poi si era pentito, aveva provato dispiacere del suo comportamento, e si era recato al lavoro. Solo di questo primo figlio vengono rivelati i sentimenti contrastanti: si era accorto di essere stato maleducato e ribelle, ne aveva provato vergogna di sé, e si era piegato alla volontà del padre. Del secondo non è detto nulla; è solo messa in evidenza la sua ipocrisia.

La sua risposta era stata apparentemente ossequiente, ma ad essa era seguito un atteggiamento sprezzante di disimpegno, senza ripensamenti di sorta. Il racconto presenta due facce della realtà, quella dei peccatori che rifiutano obbedienza a Dio e poi si pentono, e quella di coloro che si ritengono giusti perché a parole dicono di “sì” a Dio, che è poi un “no” alla sua concreta volontà. Da quale parte stiamo? Il giudizio di Gesù su questa situazione è duro e tagliente, schierato nettamente a favore del primo figlio. L’enunciato è solenne come un giuramento: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Per sottolineare meglio il concetto, Matteo abbandona la sua dizione consueta di “regno dei cieli”, per adottare la formula più chiara di “regno di Dio”.

Prima di tutto in queste sue parole c’è il riscatto pieno delle due categorie di persone disprezzate: i pubblicani e le prostitute. Essi sono capaci di conversione più dei sommi sacerdoti e i capi del popolo. Ancora una volta Gesù afferma che l’amore di Dio non sta nelle belle parole che si dicono o nelle buone intenzioni che si enunciano, ma nel fare effettivamente la volontà di Dio. Il fare conta più del dire. Quello di compiere la volontà di Dio è un concetto così importante che nel Discorso della montagna il verbo “fare” ricorre ben 22 volte, ed è legato all’immagine dell’albero che deve produrre frutti buoni, altrimenti è inutile e viene tagliato (3,11). Un giorno Gesù rispose così a coloro che gli annunciavano la visita dei parenti: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?… Chiunque fa la volontà del padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre” (12,48.50). Con l’affermazione che “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”, Gesù non vuole dire che queste due categorie di persone abbiano il posto assicurato, comunque si comportino; e nemmeno vuole dire che i capi dei giudei sono a priori esclusi dal regno di Dio.

Le parole di Cristo non esprimono un principio, fotografano solo una realtà che era sotto gli occhi di tutti, un’esperienza vissuta da Giovanni Battista e da Gesù. Di fatto è accaduto che la maggior parte dei capi giudei ha rifiutato l’annuncio del Vangelo, mentre i pubblicani e le prostitute, che sembravano refrattari ad ogni cambiamento di vita, in realtà furono i primi a convertirsi. Gesù era circondato e ascoltato da coloro che si ritenevano peccatori, non da quelli che si consideravano giusti, e quindi non bisognosi di conversione. Matteo ricordava la critica che si accese davanti alla porta di casa sua, quando Gesù chiamò proprio lui, il pubblicano, a seguirlo. In quell’occasione i farisei contestarono a Gesù il diritto di mangiare con i pubblicani e i peccatori, e Gesù rispose: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate e imparate che cosa significa: ‘Io voglio misericordia , non sacrifici’. Infatti io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” (9,12s).

AUTORE: Oscar Battaglia