Venerdì 2 dicembre ricorre il primo anniversario del ritorno alla Casa del Padre dell’arcivescovo emerito Giuseppe Chiaretti (1933-2021), pastore della Chiesa che è in Perugia-Città della Pieve dal 1995 al 2009, vice presidente della Cei e presidente della Conferenza episcopale umbra dal 2004 al 2009.
Nella Cattedrale di San Lorenzo, alle ore 17, l’arcivescovo Ivan Maffeis, insieme al cardinale Gualtiero Bassetti, a sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, seminaristi e popolo di Dio, presiederà la celebrazione eucaristica nel ricordo di monsignor Chiaretti.
Un vescovo che ha scritto una bella e importante pagina della storia della Chiesa da trasmettere alle future generazioni. È stato un infaticabile pastore nel guidare il suo gregge in un lungo cammino caratterizzato dalla nuova evangelizzazione per la quale tanto si è prodigato, fondata sulla carità e sulla missione, oltre che sull’annuncio della Parola. Grande studioso e uomo di elevato spessore culturale, ha saputo trasmettere la fede anche attraverso la promozione e la valorizzazione dell’arte, della storia e della cultura in generale. È stato, soprattutto, un pastore profetico se si riflette sulla stagione sinodale intrapresa oggi dalla Chiesa. Nel 2006, quando indisse il Sinodo diocesano, scrisse:
“Il Sinodo avvia i sacerdoti, religiosi e laici in un cammino insieme, che sia vera missione tra i cristiani e di confronto-dialogo con i distanti…
Non è un esame di tutta la vita della diocesi nella sua ripartizione classica di catechesi-liturgia-carità, ma solo una puntualizzazione sulla dimensione missionaria della nostra Chiesa in rapporto all’evangelizzazione”.
Il ricordo di monsignor Giuseppe Chiaretti di suor Roberta Vinerba
A tracciare un significativo ricordo di monsignor Chiaretti è suor Roberta Vinerba, teologa e preside dell’ISSRA di Assisi, dinanzi al quale, il 3 ottobre 1999, giorno del transito di San Francesco, tenne la professione dei voti di religiosa francescana diocesana.
“Ricorderemo -scrive- monsignor Giuseppe Chiaretti. Ricordare, attività che gli antichi imputavano al cuore che era ritenuto essere la sede della memoria.
Un anno fa, il 2 di dicembre, il vescovo emerito della nostra Chiesa perugino-pievese compiva il suo transito da questa bella aiuola del creato (che ho amato e desiderato sempre più ricca di giustizia, di bontà, di onestà, di fraternità) per tornare alla patria definitiva: la ‘casa’ e il ‘cuore’ di quel Dio che Gesù mi ha fatto conoscere come Padre che ama e perdona” (Chiaretti, testamento spirituale).
Voglio tornare allora con il cuore grato -prosegue la religiosa- alle tante volte nelle quali, transitando in piazza IV Novembre, ero solita salire in episcopio, che era per me come una seconda casa. Salivo anche solo per un saluto, per una battuta. Sapevo che il vescovo non si sarebbe mai negato, anzi spesso era lui a trattenermi per commentare le notizie del giorno, per una battuta, con l’arguzia e l’ironia di cui era capace, per una nuova idea che la sua mente vulcanica aveva appena prodotto, per una pena delle tante, troppe, che la diocesi non gli ha risparmiato.
Mi pare di vederlo ancora, parlare mentre fa rigirare nell’anulare quell’anello che si era fatto fare con le fedi dei genitori che sorreggevano la mitria, o attraversare la segreteria con qualche libro in mano che, immancabilmente, finiva nelle mie. Ricordo un padre, un padre vero, tanto che non l’ho mai chiamato Eccellenza, semplicemente Padre e padre lo è stato fino all’ultimo. A Foligno, pochi mesi prima che la malattia lo costringesse definitivamente in casa, si muoveva già con grande fatica, eppure volle venire ad assistere ad un incontro che dovevo tenere. In una sera freddissima venne e restò lì per due ore, felice come un bambino e orgoglioso come solo un padre sa esserlo verso una figlia.
Lo ricordo -conclude suor Roberta- con la memoria del cuore e la certezza che è vivo. Non è un ricordo retorico, mesto. Nostalgico sì. Ma mesto no. Perché Chiaretti è vivo in Cristo. Ne fa certezza le tante volte che in questo anno l’ho sentito vicino ed efficace nell’aiuto. Una paternità che non è per nulla esaurita e che per me e per la diocesi tutta, continua nella preghiera che certamente, dal cielo, fa per noi”.