Che non sia come 40 anni fa

Qualcuno potrà pensare che non sia opportuno ricordare certe date, che lasciano uno strascico di sofferenza e di odio. Ma in questi giorni si sono rivisti in televisione carri armati russi, per fortuna non più ‘sovietici’, che avevano qualcosa di molto minaccioso; e nella zona del Caucaso (vedi articoli a p. 3) si teme che possano ripetersi violenze come sono già pesantemente accadute in Georgia, con centinaia di morti e migliaia di profughi. Il presidente russo Medvedev ha detto che non teme un ritorno della guerra fredda, ma il mondo teme che possa scatenarsi una guerra calda. Sono quaranta anni giusti da quella che fu detta la Primavera di Praga, che doveva dare inizio alla fase del comunismo dal volto umano, contrastato dal comunismo staliniano, che riuscì non solo a vincere con l’esercito, ma anche a convincere molti (non tutti) comunisti italiani. Non fu convinto invece il giovane praghese Jan Palach, che si dette fuoco per protesta contro la repressione sovietica. Il ’68 è stato anche questo. Oggi il mondo è cambiato, il comunismo è crollato, ma sogni di potenza da parte della Russia di Putin e ricerca di autonomia nazionale di piccoli popoli dell’area di influenza russa della zona caucasica, possono innescare tempi di confusione e di tensioni internazionali. Alcuni commentatori politici si sono domandati se dopo 40 anni si possa paragonare Tbilisi a Praga e la Georgia alla Cecoslovacchia. Tutti pensano e sperano che non sia così. Ma intanto il Papa ha ammonito duramente ed ha messo in guardia contro il ricorso alla violenza per dirimere questioni territoriali. All’Angelus di domenica scorsa e nella catechesi d mercoledì ha detto che si ‘si deve respingere la tentazione di affrontare nuove situazioni con vecchi sistemi’, quali l’uso delle armi, mentre si deve ricorrere alla ‘forza morale, trattative eque e trasparenti a partire da quelle legate al rapporto tra integrità territoriale e autodeterminazione dei popoli, fedeltà alla parola data e ricerca del bene comune’. Le indicazioni di Benedetto XVI sono chiare e universalmente accettabili, perché fondate sulla razionalità, il buon senso, rispetto della legalità e del bene dei popoli. Un forte richiamo contro la violenza l’ha fatta anche a difesa della Chiesa cattolica in India, dove sono avvenute aggressioni contro i cristiani. A sostenere una vera e propria persecuszione sono i fondamentalisi indù, contrari a cristiani e musulmani. La Sala stampa vaticana ha inviato una Nota di protesta al Governo Indiano perché si ponga fine alle violenze e si ristabilisca un clima di rispetto e di libertà. Ci si è domandati come mai dalla religione di Gandhi, che esalta il valore del rispetto per ogni vita e della non violenza, si sprigioni tanto odio. La risposta è data dal card. Tauran, che ha escluso una lotta tra religioni, depositarie di princìpi di giustizia e di rispetto, mentre chi fa violenze sono uomini religiosi che non rispettano i princìpi della loro fede. Un motivo di natura politica dà un’ulteriore spiegazione, ricordando che i cristiani sono per l’abolizione delle caste e l’emancipazione dei dalit, quella classe fuori casta cui è consentito soltanto raccogliere con le mani escrementi per le strade. Nella grande democrazia indiana ci sono ancora simili forme di vita socilae, che i cristiani osteggiano. Ciò spiega molte cose.

AUTORE: Elio Bromuri