Oggi il Vangelo ci presenta uno dei drammi che assillano la famiglia: la presenza di un figlio anormale, che pesa tragicamente sulla vita dei genitori. Il dramma è presentato in tre atti: il grido straziante e insistente di una madre disperata a Gesù, l’intercessione degli apostoli, il dialogo tra Gesù e la donna. Gesù finisce per ammirare la fede di quella madre e le concede la guarigione della figlia malata. Il racconto ha un parallelo con quello del centurione di Cafarnao (Mt 8,1-3), anche lui pagano, ma con una grande fede in Gesù, ammirata e lodata dal Signore, che opera per lui un miracolo di guarigione a distanza. I due fatti mostrano la forza potente della fede, capace di spostare i monti, quando è genuina. Essa opera sempre un miracolo: o quello della guarigione richiesta, o quello della rassegnazione nella pazienza e nella speranza. Il secondo non è meno grande del primo. Molte famiglie lo hanno sperimentato e lo stanno vivendo.
La fede non lascia mai posto alla disperazione; spesso non annulla il dolore e la fatica, ma dona la forza e la serenità di affrontare l’una e l’altra giorno dopo giorno. Di fronte a drammi come questo descritto oggi, si impara ad apprezzare il dono della vita e della salute. Si impara a ringraziare Dio per il bene che ci dona. L’episodio non ci autorizza però a vedere nelle malattie l’azione del demonio. Solo Gesù poteva operare questo discernimento con chiarezza. Si guarda bene però dal parlarne, come invece fa la donna. Gesù si reca fuori dei confini della sua patria, nella terra siro-fenicia, corrispondente al sud dell’odierno Libano, in territorio pagano. Lo fa in gran segreto, perché cerca una sosta di vero riposo dopo il continuo bagno di folla a cui è sottoposto da alcuni giorni. Inutile tentativo, perché la fama dei suoi miracoli lo segue anche in quella terra confinante.
Viene infatti riconosciuto da una donna del posto, che vìola la sua solitudine e lo bersaglia con la sua insistente richiesta. Sembra appartenere a quella categoria di presone che sanno sempre tutto, senza bisogno di bollettini di informazione. Irrompe nella scena con una notizia personale gridata a squarciagola e gettata disperatamente in faccia a Gesù, che chiama “figlio di Davide”, riconoscendolo come Messia atteso dagli ebrei suoi vicini. In un primo momento il Signore sembra non sentire quel grido e mostra una forzata indifferenza. Devono intervenire i discepoli, stanchi di sentire quel lagno, a supplicarlo di ascoltare quella madre angosciata, che non cessa di insistere: “Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando”. Gesù è costretto allora a rivelare il motivo di quella sua indifferenza, che suona come un rifiuto: nel progetto di Dio, la sua missione storica è limitata solo ai giudei della terra d’Israele.
Solo dopo Pasqua il Vangelo varcherà i confini della Palestina e arriverà anche ai pagani. Ora egli deve attenersi al mandato ricevuto dal Padre. Del resto, è venuto per fare esattamente la volontà di Dio, che è suo cibo quotidiano. Ma il Padre può rimanere indifferente davanti al dolore dei figli, chiunque essi siano? La donna intuisce la debole resistenza di Gesù e si fa più ardita nella sua disperazione. Ha capito che il Signore è estremamente vulnerabile sul fronte dell’amore e della compassione. Si getta allora ai suoi piedi e grida umilmente: “Signore, aiutami!”. Davanti a quel gesto e a quel grido, Gesù non può tirarsi indietro. Cerca di spiegare con un’immagine più familiare alla donna-madre la frase che ha appena rivolto ai discepoli: “Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini”‘. All’apparenza la risposta sembra dura, ma è addolcita dall’immagine simpatica dei “cagnolini”, che fanno compagnia e giocano con i bambini della casa. Sono anche loro della famiglia, replica la donna, non si possono ignorare o scacciare.
Usando quel vezzeggiativo, Gesù tradisce simpatia e comprensione. Figli e cagnolini sono circondati di attenzione e di coccole, sia pure con diversa intensità e affetto. Chi oserebbe rifiutare un ossicino o una mollica di pane ad un cagnolino affamato e supplichevole? Si ha la netta impressione di essere davanti alla narrazione di un fatto storico. Perfino Matteo, così compassato e schematico nelle sue narrazioni, qui si fa coinvolgere da un clima simpatico di familiarità e di tenerezza, fino a diventare improvvisamente vivace. A questo quadretto di vita concreta, appena accennato, la donna si aggrappa con le unghie e con i denti per far breccia nel cuore di Cristo. Percepisce, con il suo intuito femminile, che la sua umile e ostinata richiesta sta per essere accolta. Del resto Gesù ha affermato più volte che le esigenze dell’amore superano ogni convenienza e ogni precetto divino. Ricorda forse che su quella terra di confine, dove è giunto, una povera vedova aveva aiutato il profeta Elia affamato con la sua ultima risorsa di pane e di olio (1 Re 17,8-16).
Quella donna aveva dato tutto ciò che aveva a quel profugo ebreo, accettando di confidare solo nella Provvidenza divina, che l’aveva ricompensata largamente. Capisce allora che il Padre sa fare eccezioni, per amore, anche ai suoi piani eterni. Con un lampo di tenerezza e di ammirazione, che rispecchia lo sguardo amoroso del Padre, Gesù pronuncia la parola di salvezza tanto attesa: “Donna, è grande la tua fede! Avvenga ciò che desideri”. Ogni resistenza per ragioni superiori frana davanti a quell’amore di mamma così forte e ostinato. Dio è fatto così: è vulnerabile, non resiste alla forza della fede che muove la preghiera ostinata dei suoi figli. Gesù aveva detto: “Chiedete a vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Chi tra voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a coloro che gliele domandano!” (Mt 7,7-11). Ora non si poteva smentire.