In chiesa: gregoriano o batteria?

Prosegue il dibattito su quale musica sia adatta, o no, alla liturgia. Interviene un esperto del Conservatorio di Perugia

La Voce ha ospitato in queste ultime settimane delle riflessioni sulla musica per la liturgia. Richiesto di esprimere il mio parere, tento una riflessione che avrebbe bisogno di molto spazio. Ho dovuto eliminare tante considerazioni per ovvi motiviMi si conceda questa analogia: la liturgia è come la fisica acustica: ci sono alcune leggi incontrovertibili e molte eccezioni. Nella liturgia ci sono norme conciliari e interpretazioni teologiche sulle quali c’è poco da discutere e molto da riflettere. La celebrazione del mistero della salvezza non può prescindere né dalla Rivelazione e da come la Chiesa la interpreta nella liturgia, né dalla povertà o ricchezza dell’umanità che celebra. Le seguenti domande che hanno già riempito libri, riviste, convegni, dimostrano che i problemi richiedono un continuo studio. Bisogna tentare delle risposte, anche se provvisorie. Quale rapporto tra musica, liturgia e società? Tra musica, liturgia e cultura? La musica, se è a servizio della liturgia, come deve inserirsi? Con quali criteri giudichiamo ‘buona’ un musica? La professionalità è l’unica garanzia di un buon risultato della celebrazione? Il gregoriano è l’unica musica ‘liturgica’? Gli strumenti, (eccetto l’organo, indiscusso strumento che non c’entra nulla con il gregoriano) nella liturgia sono da scomunicare o da accettare? Quale funzione deve avere il coro? Deve avere una ‘divisa’ che lo distingua o deve far un tutt’uno con l’assemblea? C’è posto per il solista? Quale ‘stile’ musicale può essere considerato degno della liturgia? Come differenziare i vari momenti liturgici (canto d’ingresso, acclamazione, canto di meditazione, ecc.)? E via di questo passo. La riflessione porta ad accentuare la distinzione tra musica di ispirazione religiosa e musica liturgica. Se si prescinde dalle iniziative presuntuose e fuori luogo, se guardiamo l’evoluzione all’interno dei movimenti ecclesiali, che coinvolgono molte comunità parrocchiali e no, si assiste a un fenomeno che non è privo di stimoli di riflessione. Parlo, per esperienza, del ministero della musica e del canto all’interno del Rinnovamento nello Spirito. Non escludo che alcune considerazioni possano valere per i neocatecumenali. 1) In molti casi è sparita la distinzione cui accennavo. Gli stessi testi e le stesse musiche (eccetto le parti fisse della messa) sono state trasferite molto tranquillamente dai momenti di preghiera (paraliturgici) alla liturgia, testi permettendolo. 2) Gli autori (cantautori) ed esecutori, sono nella maggior parte dei casi sotto il trenta anni. 3) I canti, quasi sempre con testi biblici, sono frutto di un clima di preghiera sia nella elaborazione che prima dell’esecuzione. 4) L’ispirazione per il linguaggio musicale di questi autori-animatori non è né il gregoriano né Palestrina; talvolta il romanticismo, ma soprattutto la canzonetta, la musica dei nostri giorni, la musica di consumo più diffusa, perché con essa ha familiarità la nuova generazione. Per migliorare questa produzione ho dovuto accettare il fatto e dare consigli per non lasciarmi scavalcare del tutto. Elementi formali della canzonetta: recitativo-strofa, strofa-ritornello; il sistema armonico mutuato dal jazz (generalmente parlando), riconoscibile anche dalla stenografia delle formule accordali e dai giri armonici, sono quelli più comuni nella musica di consumo da quarant’anni a questa parte. 5) A questi elementi sopra indicati va aggiunto anche il ‘timbro’, conseguenza dell’uso di tanti strumenti a fiato e a percussione che hanno dato colore alle semplicissime forme musicali. Lo strumentario con il quale nelle paraliturgie ( = momenti di preghiera) sono accompagnate le musiche, è stato travasato a piè pari nella liturgia. Lo strumentario a percussione è servito a dimostrare che nessuno strumento, opportunamente usato, può essere escluso dalla liturgia. Ma, se preso pari-pari dai modelli rock, è solo un’operazione banale e dissacratoria. 6) Dopo circa trent’anni di questa esperienza (prima con canti di importazione francese e anglofona, poi con composizioni di autori italiani) l’esperienza ha maturato e ha dato dei frutti. I responsabili hanno preso coscienza che bisogna fare qualcosa di specificamente scritto per la liturgia. E in questa direzione stanno spingendo coloro che del problema si interessano. Nel frattempo viene usato ancora il repertorio esistente, cercando di contenere eventuali esagerazioni nell’uso di ritmi sincopati e dello strumentario. Ma come si può escludere la batteria e relativa amplificazione per mandare a tempo un’assemblea di 20mila persone che cantano, perché conoscono il repertorio? 7) Il criterio usato alcuni anni fa per accettare nel repertorio Nella casa del Padre le musiche di varia estrazione cristiana (il testo come interpretazione teologica della Rivelazione), soddisfa tutte le esigenze? L’ultimo Concorso per la musica per la liturgia, fatto l’anno passato in occasione del convegno tenutosi a Spoleto, non dava criteri ai compositori. Si partiva dal presupposto che sapessero quali scelte avrebbero dovuto fare per coinvolgere l’assemblea con le nuove musiche. Anche per questo motivo i risultati non sono stati clamorosi.8) Certamente un ruolo importante nell’aiutare l’assemblea a ben celebrare ce l’ha il parroco o il rettore di una chiesa. Ma se non trova collaboratori musicisti e praticanti cristiani, come farà? Come creare per la propria assemblea un repertorio, se non ha un gruppo di animatori che istruisce e sostiene senza posa l’assemblea? Problemi aperti, soluzioni sempre rinnovabili, se chi è responsabile di un’assemblea si interessa del problema.9) Quali dovranno essere le fonti di ispirazione per la creazione di un linguaggio musicale adatto alla liturgia? Chi ha pronta la risposta, la dia. Forse una riflessione aggiornata sugli etos di cui parlavano i greci, non farebbe male, non escludendo l’azione dello Spirito santo che – anche contro le aspettative di qualcuno – continua i ispirare la sua Chiesa.

AUTORE: Fernando Sulpizi, agostiniano,