Ormai sono rimasti pochi tesori da scavare nella terra e poche perle da scoprire, ma l’uomo continua ad inseguire il sogno di una improvvisa fortuna che gli dia ricchezza per l’intera vita. Altrimenti non avrebbero tanto successo le lotterie nazionali, le scommesse, i giochi d’azzardo, i casinò, dove si rincorre la dea bendata. Gesù conosceva i sogni nascosti dei suoi umili ascoltatori e li usava per la sua pedagogia. Per molti il valore più grande della vita è la ricchezza, il benessere. Il Signore, con le parabole di oggi, afferma che la cosa più preziosa della vita è la salvezza spirituale (il Regno, la vita) da lui portata. Essa ha un valore inestimabile e sarebbe da stolti farsela sfuggire. Tutti capiscono che è in gioco il loro futuro, la vita eterna. Le prime due parabole del Vangelo di oggi sono gemelle e possono avere il sapore di fiaba, se non fossero raccontate con estrema sobrietà. Non concedono nulla alla fantasia, che potrebbe distrarre l’attenzione dal contenuto centrale: dicono infatti che non c’è nulla al mondo che valga quanto il regno di Dio, che ripaga ogni sacrificio e ogni rinuncia, perché da sicurezza in questa vita e felicità oltre la morte.
La terza e ultima parabola richiama da vicino quella della zizzania raccontata domenica scorsa. Distingue due tempi della vita. Anzitutto lo scorrere lento degli anni che, come una rete da pesca, rastrella il nostro mare accumulando esperienze e opere buone cattive. Segue il tempo finale in cui il grande pescatore, che è Dio, farà la cernita del pescato e separerà il bene dal male. Tutti dobbiamo passare in quelle mani salvifiche, che valuteranno la ricchezza della nostra vita. Allora egli scoprirà se abbiamo trovato il vero tesoro, che dà valore alla nostra esistenza, se ce lo siamo fatto sfuggire o lo abbiamo dissipato in maniera incosciente. Esaminiamo i tre racconti. Il primo ha per protagonista un bracciante che lavora la terra non sua. Sotto quelle zolle, inaspettatamente, affiora un tesoro nascosto lì in tempo di guerra, quando le razzie dei soldati non risparmiavano nulla e nessuno. Forse il proprietario era stato ucciso e nessuno aveva mai saputo dove aveva riposto il suo gruzzolo.
Questo operaio giornaliero occasionale lo trova. Pensa che in quella cassetta o in quel vaso seppellito ci sia una fortuna da non farsi sfuggire, perché risolve tutti i suoi problemi di vita grama. La parabola non si pone il problema del diritto di proprietà, registra solo la reazione spontanea del protagonista e degli ascoltatori. Quell’uomo fa di tutto per comperare quel campo fortunato; vende la sua casa e le povere cose che possiede, disposto anche ad indebitarsi. Sarebbe da stolti farsi sfuggire quest’unica fortunata occasione della vita, per uno che vive nel bisogno. Il secondo racconto ha invece per protagonista un commerciante ricco che cerca il colpo di fortuna per mettersi in pensione e non avere più preoccupazioni economiche.
È un cercatore di professione, non come il salariato che è baciato inaspettatamente dalla fortuna. Infatti, un giorno trova sul mercato che frequenta una perla di inestimabile valore. Alcune perle, allora pescate nel mar Rosso, avevano prezzi da capogiro, valevano miliardi. Il furbo mercante, che ha l’occhio clinico per gli affari, subodora il colpo grosso della sua vita e non ci pensa due volte. Vende perfino i suoi magazzini con le merci che contengono e compra quella perla. Ora è veramente ricco e si può mettere al riposo. A chi e perché Gesù racconta queste parabole? Sono parabole della decisione e della conversione, indicano una svolta decisiva della vita.
I primi destinatari dovettero essere gli apostoli, che avevano lasciato tutto e lo avevano seguito (Mt 4,18-22). Gesù aveva detto al giovane ricco: “Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi. Udito questo, il giovane se ne andò triste, perché aveva molte ricchezze” (19,21s). Pietro aveva preso allora la parola: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Che cosa ne otterremo?” Gesù disse loro: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome , riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna” (19,27-29). Dentro ci sono tutti quei credenti che hanno preso sul serio il Vangelo e si sono messi alla sequela di Gesù, ritenendo il resto cosa secondaria che si può anche perdere, magari rinunciandovi. Chi ha Dio, ha tutto. La scelta di Dio e delle sue parole vale più di ogni altra cosa al mondo. C’è solo da chiedersi se ci crediamo veramente.
La terza parabola sembra non aver nulla a che fare con le due precedenti, eppure le completa. Descrive infatti il momento della verifica delle scelte che siamo chiamati a fare. È radicata nell’ambiente del lago di Tiberiade, dove Gesù predicava. Vedeva ogni mattina i pescatori trascinare a terra la loro rete a strascico, che aveva rastrellato il lago tutta la notte in cerca di buoni pesci. Nel lago ce n’erano 24 specie, non tutte commestibili. Durante la pesca non si può valutare il pescato, perché la rete raccoglie tutto, pesci buoni e pesci cattivi. Bisogna aspettare la fine per giudicare e fare la cernita. La mano e l’occhio esperti del pescatore divino soppeseranno il valore di ogni pesce che viene tirato a riva. Durante la vita Dio non giudica, attende le nostre scelte, valide fino all’ultimo momento. Sa che la sua Chiesa è come quella rete, contiene buoni e cattivi. Egli aspetta con pazienza, come il pescatore, la fase finale, quando la rete arriva ai suoi lidi eterni.
Fino all’ultimo, lo sostiene una segreta speranza: che i pesci cattivi diventino buoni. Accade spesso nella sua rete, non in quella del pescatore del lago. C’è gente che si converte anche all’ultimo minuto, come il ladrone sulla croce; allora cambia il valore della vita. Solo Dio può pronunciare la parola “fine” per noi che siamo giunti alla meta. La nostra speranza è che allora trovi nella nostra vita quel tesoro e quella perla che abbiamo acquistato con fatica e impegno durante il tempo della nostra esistenza terrena. Le sette parabole che Gesù ci ha raccontato per tre domeniche successive miravano a farci diventare consapevoli dell’originalità del suo insegnamento sul Regno dei cieli, cioè sul modo di agire di Dio nella storia e nella nostra vita. Se accettiamo l’insegnamento siamo “come il padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”, abbiamo cioè il vero discernimento cristiano della vita, sappiamo valutare ciò che vale e ciò che non vale.