Matteo ha registrato poco prima di questo racconto l’ostinato rifiuto di Gesù da parte della popolazione della Galilea, specie di quelle città dove erano stati compiuti i miracoli più numerosi, come Corozain, Btesaida, Cafàrnao. Quel rifiuto aveva indignato Gesù, che se ne era lamentato a voce alta con parole taglienti. Superato però il primo momento di sconforto, egli concentra la sua attenzione sulla gente buona e semplice che continua a credere in lui e a seguirlo. Gli sgorgano allora dal cuore due appassionati richiami che esprimono la sua consapevolezza e il suo affetto. Il primo grido è un canto di riconoscenza al Padre che ha deciso fin dall’eternità, nel suo disegno misterioso, di rivelare il mistero della salvezza ai piccoli e ai semplici, a preferenza dei dotti boriosi e dei saccenti di questo mondo.
Il secondo grido è un invito accorato a tutti coloro che prendono sul serio la fatica della vita e affrontano con coraggio l’oppressione del male fisico e della cattiveria umana. Insomma Gesù scopre che il Padre si prende cura dei più piccoli degli uomini, quelli che non contano agli occhi dei potenti e dei ricchi, e li invita a stringersi a lui e a collaborare con lui alla salvezza del mondo. Dio li ha scelti come collaboratori e figli. Con Dio sono a casa loro. E saranno proprio essi, con il loro lavoro faticoso e con la loro fede paziente a salvare questa società orgogliosa, atea e superba. È un messaggio provocatorio di grande speranza; ci piace ascoltarlo dal vangelo che Matteo oggi ci propone. Facciamoci coinvolgere.Il brano è diviso in due parti: Inizia con una lode entusiasta di Gesù al Padre per la scoperta gioiosa della volontà divina manifestata nella scelta dei piccoli e dei semplici come candidati alla fede.
Solo chi entra nel cuore di Dio, come il Figlio, scopre questo mistero così contrario alla cultura mondana. Sono sempre gli ultimi i primi nel regno dei cieli. La seconda parte è un invito gridato ai più bisognosi di aiuto e di conforto. È composto di tre imperativi: venite, prendete, imparate. Gesù si propone loro come modello di mitezza, di umiltà, di confidenza in Dio, e formula le sua promesse ai seguaci con tre vocaboli significativi: peso, giogo, riposo. Iniziamo da principio. Il grido di gioia di Gesù è come una scoperta e una confessione di fede (exomologhein). È introdotto con una formula di tono solenne, che ci abbraccia e ci coinvolge tutti: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai rivelato queste cose ai piccoli”. Dio è chiamato in campo con tutta la sua maestà di Signore del cielo e della terra, sovrano della creazione della storia. È lui che guida il corso degli eventi del mondo. “Le cose” (tauta) da lui rivelate ai piccoli sono le cose di Dio, il suo misterioso piano di salvezza che non si scopre con i sofisticati ragionamenti umani, ma con la docilità alla parola divina del vangelo.
È il regno dei cieli portato da Gesù, dove la sovranità amorosa di Dio è accettata e apprezzata dai poveri nello spirito (Mt 5,3), cioè dagli umili e dagli ultimi. Gesù poco dopo, prendendo in braccio un bambino, dirà: “Se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perché chiunque diventa piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”(18,2-4). Mentre parlava il Signore aveva davanti agli occhi i suoi discepoli e la povera gente che lo seguiva entusiasta, tutti assetati della sua parola. Diceva che i loro nomi erano scritti in cielo, come scrive Luca in un passo parallelo; perciò i loro occhi vedono e le loro orecchie odono nella fede ciò che i profeti e i re (d’Israele) desiderarono vedere e udire e non videro né udirono (Lc 10, 20.24).
Per rassicurare poi i suoi ascoltatori, che non sta sognando mentre parla, Gesù rivela che comunica loro il pensiero stesso del Padre, perché i due si conoscono bene e si compenetrano fino ad essere una cosa sola. Tra loro c’è uno scambio di conoscenza e di amore tale che agiscono e parlano di comune accordo. Non si può mettere in dubbio la rivelazione del Padre arrivata attraverso il Figlio. È la più certa delle cose certe. Da quella comune conoscenza unitiva e chiara sgorga la lode che Gesù ha appena pronunciata per noi. Grazie a lui e al Padre, perché dobbiamo loro la fede che ci fa cristiani. La seconda parte del brano che abbiamo ascoltato è un invito gridato a tutti gli uomini sulla cima del mondo: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi!” È chiamato dagli esegeti “il grido del salvatore” perché è un invito pressante alla salvezza portata da Gesù. E come se le braccia di Gesù si allargassero dalla cerchia dei suoi uditori storici per abbracciare ora gli uomini di tutti tempi e di tutte le latitudini. Non a caso ha detto, come per inciso: “Tutto mi è stato donato dal Padre mio”.
Nulla e nessuno è escluso dalla salvezza portata da Gesù. L’invito formulato ora da Gesù risuonò la prima volta nella chiamata alla sequela per i primi apostoli come Andrea, Pietro, Giacomo, Giovanni e Matteo il pubblicano: “Venite dietro a me”(4,19-22; 9,9). Essi, lasciarono tutto per seguire Gesù e divennero i capofila di una lunga carovana di seguaci che attraversa i secoli, tutti in cerca della pace del cuore che solo Gesù può dare, tutti convinti di aver raggiunto la perfetta realizzazione della loro esistenza. Era il richiamo della sorgente dello Spirito che attira gli assetati di pace e di bene vero: “Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me…fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo grembo” (Gv 7,37). Nel nostro brano l’invito è rivolto a chi è schiacciato dal peso insopportabile di una vita difficile, da chi è oppresso da una schiavitù morale o sociale che lo priva del bene della libertà. In una parola, Gesù chiama tutti gli emarginati del mondo a riscattarsi dal vizio e dal male che li opprimono.
L’immagine del giogo ci riporta nei campi dove i buoi appaiati trascinano faticosamente l’aratro. Gesù vuole invitare gli affaticati e gli oppressi a condividere il giogo con lui, a portare i pesi e le fatiche insieme. È più leggero il peso portato in due, specie se la controparte se ne assume la maggiore fatica. È come se dicesse: “Ti aiuto io, affiancati e affidati a me. Sono allenato alla fatica, dopo che ho lavorato per trenta anni a Nazareth come artigiano e ho finito col portare una pesantissima croce fino al Calvario. Se vuoi, mi offro a farti da Cireneo. Porterò per te e con te la tua croce”. Tutto questo è espresso nella successione dei termini usati da Gesù in successione: “affaticati e oppressi” indicano la condizione umana più comune, “il giogo” è lo strumento per dividere in due la fatica, “il riposo” è il risultato dell’aiuto e del conforto di Cristo. Solo in questa condivisione di pesi e di fatiche si impara ad essere miti, pazienti e umili come Gesù, che si propone qui come modello e maestro. Il credente trova pace nelle tribolazioni, perché non si sente solo. Ha accanto a sé il Dio della pace del conforto e dell’amore che cammina e soffre con lui. Provare per credere!