Baby gang: noi cosa facciamo?

L’Umbria non è immune dall’inquietante fenomeno delle baby gang, a cui La Voce dedica approfondimenti nelle pagine interne. Sono gruppi di adolescenti, figli a volte di extracomunitari ma anche di italiani, che spesso non si rendono conto che le loro “bravate” (come le definì il Manzoni) sono dei veri e propri reati. Prepotenza e bullismo spesso degenerano nell’illegalità. Siamo in piena emergenza educativa, accentuata dalle conseguenze della pandemia, ma non riguarda solo gli adolescenti. Alcuni di loro hanno frequentato il catechismo e l’oratorio, ma cosa gli è rimasto degli insegnamenti umani e cristiani ricevuti dagli adulti? Poco o nulla! Per questo sulle baby gang dobbiamo interrogarci a fondo come adulti, dai rappresentanti delle istituzioni civili preposte in materia alla Chiesa.

A richiamare l’attenzione sul fenomeno è stato di recente un giovane parroco perugino, don Nicolò Gaggia. La sua lettera pastorale alla comunità parrocchiale di Villa Pitignano ha destato molto scalpore e l’interesse di alcuni media nazionali (Corriere della Sera e La Repubblica). Si tratta di una vera e propria denuncia del degrado sociale dovuto a “un disagio minorile che sta sfociando, in una certa forma, in criminalità”, sostiene don Nicolò.

Fenomeno su cui si registra l’“omertà” degli adulti. A questa denuncia hanno fatto seguito accertamenti e indagini delle forze dell’ordine su gravi episodi consumatisi ai danni di “ignari passanti malmenati senza motivo per strada, quasi per sfregio, luoghi di lavoro di onesti cittadini vandalizzati, bambini incapaci di vivere con spensieratezza momenti di gioco, colpevoli soltanto di essere troppo piccoli per difendersi, costretti perciò a rifugiarsi dietro la tonaca del prete, liturgie impossibilitate nella loro dignitosa prosecuzione per il baccano, volutamente procurato, e per le bestemmie…”.

A narrarlo è sempre don Nicolò, sostenendo che “è urgente fare tutti noi adulti un mea culpa, ognuno nel suo ambito, nessuno escluso, perché tutti abbiamo, in maniera proporzionale, una parte di colpa”. Come non dargli ragione? Gli adulti perdono di autorità nel momento in cui sono omertosi o proteggono le malefatte dei giovani. La scuola, un tempo principale agenzia educativa insieme alla famiglia, ha perduto il suo ruolo centrale di realtà propulsiva educante. E così anche i genitori, in non pochi casi alle prese con crisi coniugali e con gravi problemi come la perdita del lavoro. Si resta colpiti quando un padre o una madre denunciano i figli perché violenti.

L’uso di alcool, droga e pornografia negli adolescenti porta alla trasgressione e poi a delinquere per reprimere – si sostiene spesso – le frustrazioni adolescenziali. In tutto ciò gli adulti hanno le loro responsabilità, che vanno ricercate nella loro stessa ineducazione, e le cui tragiche conseguenze raccogliamo ancora una volta nella lettera accorata di don Nicolò: “Il negazionismo del male che ci sta attanagliando, la malata, negligente e colpevole rassegnazione che, alimentando sfiducia, portata avanti da veri e propri profeti di disperazione, vede inutile la denuncia di ciò che avviene alle istituzioni preposte… Il rinunciare a combattere, ritirando la propria famiglia dentro le mura di casa, è molto simile alla vigliaccheria con cui Pietro seguiva il Signore durante la Passione ‘da lontano’, per timore di essere coinvolto. Tutti dobbiamo fare la nostra parte. Don Milani diceva: ‘Uscire dai problemi da soli è egoismo, sortirne insieme è politica’”.

Alla politica, alle istituzioni civili, religiose e scolastiche rivolgiamo il nostro appello: le baby gang non abbiano futuro! Come? A iniziare dal contenere con politiche efficaci un altrettanto inquietante fenomeno da cui traggono linfa le stesse gang : la dispersione/ evasione scolastica che in Umbria, dagli ultimi dati Istat elaborati, supera l’11%. Per capirci, su 100 alunni, ben 11 non arrivano al diploma di maturità. Una cifra davvero allarmante. Ma la scuola, luogo anche di inclusione, resta ancora un valido argine alle “bravate” minorili: basta metterla nella condizione di ritornare a essere agenzia educativa.

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