Terza puntata delle mie riflessioni sul tema della libertà di aborto. Ho detto – due volte fa – che il nascituro che vive nel grembo della madre è oggettivamente un essere umano con la sua identità. Ho detto – la volta scorsa – che il peso della maternità non può essere lasciato gravare tutto sulle spalle della madre, ma bisogna che la solidarietà sociale se ne faccia carico, per un dovere morale verso la madre prima che verso il nascituro. Adesso però devo andare più a fondo.
Nel pensiero “radicalfemminista” l’autodeterminazione della donna è un valore assoluto, un campo nel quale nessuno può e deve interferire: non il legislatore, ponendo divieti e pene, ma neanche chi con spirito solidale vorrebbe aiutare la donna a superare i problemi che la rendono esitante. Come se solo decidendo in totale isolamento la donna realizzasse in pieno la sua personalità. Invece – piaccia o meno – per ogni essere umano la piena autodeterminazione è solo un’astrazione illusoria. Ciascuno è immerso in un mare sterminato di relazioni e di interdipendenze.
Questa è la condizione umana: tutto quello che ci consente di vivere, attimo per attimo, lo riceviamo grazie al lavoro e/o all’amore di altri; e questi si aspettano, giustamente, che facciamo lo stesso con loro. Ogni nostra azione, ogni nostra scelta, produce effetti (buoni o cattivi) che ricadono su altri, e dunque è valutabile – non può non essere valutata – anche in termini morali. Non necessariamente secondo una morale religiosa, cristiana o altro, ma quanto meno secondo quella messa in luce da un pensatore laico, Max Weber (1864-1920), e da lui chiamata “etica della responsabilità” per distinguerla dalla “etica delle convinzioni”.
Due visioni che non sono alternative ma complementari. Etica della responsabilità vuol dire misurare le proprie scelte non tanto sulle proprie intenzioni astratte quanto sugli effetti concreti che produrranno oggettivamente. È una responsabilità che ciascuno si deve assumere, non tanto davanti alla legge o alle opinioni altrui, ma davanti alla propria coscienza. Con essa non è compatibile il concetto di una autodeterminazione piena, totale, insindacabile.