di Andrea Casavecchia
Molto probabilmente sta cambiando qualcosa nel mondo del lavoro. Ancora il numero delle persone in cerca di occupazione non è tornato ai livelli pre-crisi; però si stanno verificando due fenomeni che rivelano le difficoltà strutturali. Da un lato molti imprenditori, specialmente nel nord del Paese – ma non solo – e nel settore del turismo e dei servizi, non riescono a trovare personale e iniziano a temere di non riuscire a rispondere alle richieste dei clienti per l’estate. Dall’altro lato si ravvisano diversi casi di dimissioni. È indicativo quanto accade in Lombardia e Veneto, dove diversi dipendenti si dimettono da un lavoro a tempo indeterminato.
Alcune voci iniziano ad attribuire la scarsa risposta alla domanda di lavoro all’introduzione del Reddito di cittadinanza. Si trascurano, però alcuni elementi: alcune volte le proposte economiche sono di poco superiori rispetto al sussidio, che già offre un reddito minimo di sussistenza. In molti casi i lavori stagionali creavano working poor, cioè lavoratori poveri che non riescono a raggiungere un reddito dignitoso. In altri casi erano sono esperienze di “semi-sommerso”: c’è un contratto di lavoro che copre una parte dell’orario, poi c’è la richiesta di ampliare gli orari coperti da un “fuori busta”. Si evitano i giorni di riposo, si moltiplicano i turni, “tanto è per qualche mese, ti riposerai quando termina il contratto”. Il Reddito di cittadinanza ha messo le persone in grado di rifiutare questo ricatto. Ora però bisogna innalzare la qualità della proposta. Il secondo caso rivela l’insoddisfazione degli overskilled , cioè le persone che per avere una stabilità contrattuale hanno accettato lavori che richiedono competenze minori rispetto a quelle da loro acquisite.
In Italia la quota dei lavoratori “sovraistruiti” è molto alta: toccava il 37,4% nel 2018, secondo le rilevazioni Inaap. Anche in questo campo qualcosa sta cambiando. Una parte di questi lavoratori, che prima limitava le proprie aspettative in favore di maggiore certezza, ha deciso di cambiare prospettiva, di cercare un lavoro-vocazione, un lavoro meno legato ai “tempi fissi”. Questi due fenomeni ci rivelano che il cambiamento richiesto al mercato del lavoro non è tanto giuridico ma culturale. Se non cambia l’approccio ai lavoratori delle aziende, ci attende un periodo di forte instabilità.