Mi è arrivata un’e-mail: ‘Lei disprezza la liturgia’ Ma lo sa che il Concilio ecumenico Vaticano II ne ha fatto l’alfa e insieme l’omega dell’esistenza cristiana?’. Il riferimento è a quella ‘liturgizzazione dei diaconi’ che ho lamentato nell’ultima abat jour: ‘Sono stati tirati fuori – ho scritto – dal flusso della vita e ingabbiati nel Sacro Recinto, trasformandoli da titolari della carità della Chiesa in chierichetti del vescovo’. No. Io non disprezzo né sottovaluto la liturgia; la sento anche io come la sentì il Concilio, origo et culmen di tutta la vita cristiana. Quando, per una qualche ragione, un certo giorno non riesco a celebrare messa, quel giorno perde gran parte del suo sapore. La filosofia è un pensiero senza gesto, la magia è un gesto senza pensiero. La religione cristiana è gesto (‘liturgia’) ispirato dalla fede. Eppure, ad onta del suo sacrosanto primato, nella liturgia è insito il pericolo di ‘liturgizzare’ dei gesti che vogliono inscriversi nel flusso feriale, umile della nostra vita quotidiana. Pensate al gesto di ‘Quella Sera’, il gesto che la Chiesa ci propone nel Vangelo di ‘Quella Sera’, in Coena Domini. ‘Prima della festa di Pasqua, Gesù, sapendo che era giunta la sua ora’ dopo aver amato i suoi’ sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani”: che solennità!! E per dire che cosa? Che ‘si alzò da tavola, depose le vesti, si cinse ai fianchi un asciugatoio’. Silenzio. Appena interrotto dalla tempesta sentimentale di Pietro, che il Signore placò come quella notte sul mare. Fu un gesto di’ disperazione, ‘Quella Sera’, sia detto col massimo rispetto. Per tutto il tempo che erano stati con lui, Gesù aveva insegnato a quei dodici zuzzurelloni che la vera autorità è il servizio, e che la vita non va spremuta ma regalata, e loro anche quella sera litigavano alla grande sulla spartizione del ministeri e dei sottosegretariati del futuro Regno. E ci si era messa di mezzo anche quella buona lana della madre dei figli di Zebedeo! Una lingua di quelle che tagliano, cuciono e fanno le asole. ‘Mi raccomando, veh!, mentre ti siedi sul tuo trono, mi raccomando, veh!: Giovanni e destra e Giacomo a sinistra. O viceversa. Ma i primi due posti’ per loro. Veh!’ Veh. Gesù lavò quei 22 piedi callosi; niente calzini; incrostati di polvere e di escrementi di vacca. Poi spiegò: ‘Avete visto bene quello che ho fatto? Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri’. Disse: ‘Dovete lavarvi piedi gli uni gli altri’, ma non aggiunse ‘Ogni Giovedì santo’. Qualcuno di noi celebranti del Giovedì santo può davvero pensare che con la lavanda dei piedi ha fatto tutto quello che c’era da fare? No, quello non è un gesto che chiude, è un gesto che apre, un gesto paradigmatico: così lo interpretano la stragrande maggioranza dei miei confratelli e ne fanno il fondamento della loro carità pastorale. Lo prendono, quel gesto, come un programma, non come una celebrazione. Una freccia direzionale, verso quel mondo ideale nel quale chiunque fra noi vecchietti s’è le fatta addosso merita che qualcuno lo pulisca, solo perché non ce la fa da solo.
Un gesto che ‘apre’
AUTORE:
Angelo M. Fanucci