Tra due settimane è Pentecoste, ma fin d’ora la liturgia inizia a parlarci dello Spirito santo, il dono straordinario lasciato da Gesù risorto alla Chiesa e a ciascuno di noi. L’anticipo serve per organizzare meglio una novena di preparazione al grande evento. È difficile parlare dello Spirito e tentare di immaginarlo, perché ci mancano simboli e figure di riferimento. Nella Bibbia è presentato come alito di vita, come respiro e soffio di Dio, che entrando nell’uomo lo sconvolge e lo cambia radicalmente facendone un profeta, un estatico, e dotandolo di forza e capacità particolari. Nel Nuovo Testamento è indicato dal simbolo della colomba che si posò sul capo di Gesù il giorno del suo battesimo al Giordano, dal segno del fuoco di Pentecoste, dal soffio del vento che senti ma non vedi, dal gorgogliare dell’acqua viva che purifica e ristora.
Tutte queste figure sono difficili da rappresentare e da aggregare per rappresentare una Persona divina. Più facile immaginare il Dio creatore del mondo in forma umana come ce l’ha dipinto Michelangelo nella Cappella Sistina, o pensare alla figura di un Padre che ama i suoi figli. Ancora più agevole rappresentarsi la figura umana di Gesù, vero uomo fra gli uomini, come lo troviamo riprodotto in tanti dipinti e statue sparse nel mondo. Ma lo Spirito come te lo rappresenti? Forse è questa difficoltà di raffigurazione la ragione per cui lo Spirito gode poca popolarità e devozione tra i semplici cristiani, fino ad essere il “dio ignoto”. Negli ultimi tempi, fortunatamente, il “Rinnovamento nello Spirito” ha riscoperto e vivacizzato nella Chiesa questa presenza divina come energia e medicina spirituale, come Persona da adorare e venerare nell’intimo del cuore, senza bisogno di rappresentazioni plastiche. Si sta diffondendo una nuova devozione allo Spirito come il Dio vicino, che abita e agisce potentemente in noi per cambiare radicalmente la nostra vita e renderci veri testimoni del Vangelo.
Proviamo ad ascoltare Gesù che ce ne parla nel Vangelo. Il brano che abbiamo ascoltato fa parte di quel grande ‘testamento spirituale’ di Gesù contenuto nei discorsi dell’Ultima Cena. Quella sera Gesù ha parlato ben cinque volte dello Spirito santo, quasi volesse martellare nella mente degli ascoltatori un insegnamento che incidesse in profondità. Il brano inizia dettando la condizione indispensabile per ricevere il dono che sta per annunciare. Si tratta di un amore fattivo: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti e io pregherò il Padre che vi donerà un altro Paraclito”. L’amore è la porta aperta su Dio, che gli consente di entrare dentro di noi per prendervi dimora. Lo dirà più chiaramente alla fine del brano: ‘”Chi mi ama, sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (v. 21). Riprenderà poi questa affermazione chiarendola così: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (v. 23).
Così diventiamo “paradiso” di Dio. Una realtà intima meravigliosa, capace di dare gioia incontenibile ai santi. Gesù ci fa capire che tutto comincia con la venuta dello Spirito che egli chiama “Paraclito” e che noi traduciamo in modo riduttivo con la parola “Consolatore”. Paraclito è un termine greco di origine forense, adottato anche dalla lingua ebraica e aramaica parlate da Gesù (peraqlît). Nei discorsi di addio di Gesù è usato quattro volte (14,16.26; 15,26; 16,7). Letteralmente significa “colui che è chiamato vicino”, l’avvocato difensore; ma il significato si allarga fino ad indicare l’aiuto, il protettore, il compagno di vita, il consolatore, il maestro interiore.
Insomma è il sostituto di Gesù (l’altro Paraclito) e come lui non ti lascia solo, ma ti assiste in ogni momento della vita. Gesù usa anche altri termini per designarlo, come “Lo Spirito della verità” (3 volte), o, in modo più tradizionale come “Spirito santo”. Ciò che più conta però non è la terminologia che lo designa, ma la funzione salvifica che lo caratterizza. Gesù si preoccupa di descriverla sinteticamente nei cinque brani in cui ne parla. Nel discorso di oggi lo presenta come dono del Padre ai discepoli, i quali sono in grado di conoscerlo e di accoglierlo, perché hanno il cuore aperto alla fede e all’amore.
Il mondo incredulo non è in grado di conoscerlo e di riceverlo perché non ne ha la capacità. Ha la porta sbarrata! Lo Spirito verrà, dopo la risurrezione di Gesù (Gv 20,22) e rimarrà accanto ai discepoli, anzi sarà dentro di loro, ospite gradito del cuore. Il secondo brano che lo riguarda (14,26) ci dice lo Spirito ha il compito di insegnare e ricordare ai discepoli le parole e le opere dette e compiute da Gesù. È la memoria della Chiesa, raccolta negli scritti apostolici e nella tradizione viva. Parla nei maestri e nel cuore contemplativo dei credenti, per spiegare il senso delle Scritture in maniera sempre nuova e aggiornata. In un detto conclusivo (16,12-13) Gesù riprende questa funzione magistrale dello Spirito, precisando: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma al momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della Verità, vi guiderà alla verità tutta intera”. Egli occupa dunque il posto di Gesù e ne continua l’opera introducendo i discepoli a capire integralmente le verità rivelate da lui.
Non si tratta di verità nuove, ma di verità portate già da Cristo, unico e definitivo rivelatore di Dio, verità che però hanno bisogno di essere meglio illustrate, comprese e adattate a situazioni nuove. Infatti Gesù precisa che lo Spirito “penderà del mio e ve lo annunzierà”. C’è ancora un’altra funzione che lo Spirito svolge nella Chiesa e nel cuore dei credenti di tutti tempi, quella più corrispondente al significato forense del termine “paraclito”. È spiegata in due detti che si richiamano. Nel primo si dice: “Egli mi darà testimonianza e anche voi mi darete testimonianza, perché siete con me fin dal principio” (15,26-27).
Per Giovanni la storia di Gesù e della sua Chiesa è la storia di un interminabile processo, che ha visto prima Cristo rifiutato e condannato, poi vedrà la Chiesa e i cristiani perennemente sul banco degli imputati. È necessario che i credenti abbiano una grande dose di coraggio e di eroismo per affrontare la persecuzione e il martirio, e insieme anche le continue difficoltà create dal mondo alla pratica della loro fede. Questo coraggio e questa forza interiore è assicurata loro dallo Spirito, che anzi diventerà accusatore e contestatore del mondo incredulo (16,8-11), assicurando la loro definitiva vittoria sul male. Tutti siamo coinvolti in questa sublime avventura che lo Spirito ci fa vivere come credenti. Si tratta di recuperare e risvegliare una devozione spesso sopita, ma che può diventare lievito potente di entusiasmo della nostra vita di fede.