Dopo la guerra fredda, per non andare con la memoria troppo lontano, dopo le guerre etniche e tribali, dopo la guerra per il petrolio e per l’acqua, alcune ancora in atto e di cui si è molto parlato e, giustamente, si dovrà ancora trattare, arriva ora la guerra del pane. Anche questa è tristemente sempre attuale, espressa sotto varie forme: quella delle grandi carestie, della fame e denutrizione, delle malattie per carenze alimentari. In un recente scambio di idee con un diplomatico in procinto di insediarsi come Nunzio apostolico nella capitale di un Paese tra i più poveri della America latina, mi è stato detto che vi sono al mondo almeno 30 Paesi a rischio di guerra per il pane. Si dice per il pane, come dell’alimento principale, ma tutti gli alimenti basilari della nutrizione umana sono divenuti troppo cari. Le cause sono molteplici, dall’aumento vertiginoso del prezzo del petrolio alle coltivazioni di cereali non per l’alimentazione ma per produrre biocarburanti. Per fare un esempio, si calcola che nel 2008 negli Stati Uniti per la produzione di etanolo, il biocarburante più diffuso, verrà assorbito il 30% della coltivazione di grano. Una tale quantità potrebbe potrebbe essere utilizzata per dare da mangiare a 250 milioni di persone. Cause non ultime di tutto ciò sono la speculazione dei mercanti del grano e dei cereali e le ‘distrazioni’ del ‘dio mercato’ cui sono affidate, secondo l’ideologia dominante, le sorti dell’umanità.Conoscere ed analizzare le cause di ciò è compito dei Governi e delle organizzazioni internazionali, e quindi della politica nel senso pieno e forte del termine, nelle sue varie articolazioni, considerata come governo della comunità umana e saggia amministrazione delle risorse per garantire la sopravvivenza di tutti gli esseri umani e lo sviluppo ordinato della società. Il punto di partenza è prendere atto del fenomeno e posizionarlo al centro dell’attenzione mondiale. La Fao ha reso noto che nel 2007 i prezzi dei beni alimentari sono aumentati del 40%, e il riso, preso a se stante è aumentato negli ultimi cinque anni, sempre secondo la Fao, del 300%. A tale situazione si deve rispondere aumentando la produzione, anche se ciò, secondo il presidente della Fao Jacques Diouf, non servirà ad abbassare i prezzi. Altro rimedio è la ripresa della coltivazione di cereali nei milioni di ettari stornati da tale produzione in Paesi quali Kazakistan, Russia e Uraina, che la Fao e la Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) hanno calcolato in 23 milioni di ettari. Non possiamo trascurare inoltre che un problema del pane si pone per molte fasce sociali anche nei Paesi sviluppati e in Italia, dove i prezzi alimentari si è fatto eccessivo e perciò è stata fatta la proposta di portare il prezzo del pane ad un euro al kg. Non siamo in grado di valutare il fenomeno, le cause e i rimedi, di cui abbiamo appreso notizie da relazioni di organismi internazionali. Crediamo, però, che sia giusto riflettere sullo stato in cui versa attualmente l’umanità, non per incutere paura, ma per alimentare la fiducia nella Provvidenza che opera attraverso le risorse di razionalità e virtù donate da Dio agli uomini ed anche per indurre ad apprezzare e seguire il secolare magistero sociale della Chiesa. Basti ricordare a questo proposito l’idea centrale dell’enciclica di Paolo VI ‘Populorum progressio’ (3 marzo 1967), in cui il Papa afferma: ‘Lo sviluppo è il nuovo nome della pace’.
La guerra del pane
AUTORE:
Elio Bromuri