La gioia del perdono

Perché il sacramento della riconciliazione è celebrato oggi con una certa fatica e non proprio come ‘festa del perdono’? Si risponde solitamente: perché si sta perdendo il senso del peccato! Ma il peccato, e soprattutto la gioia del perdono, non emergono forse dalla Parola di Dio? Ci commuove ascoltare che Gesù non giudicava e condannava come facciamo noi. La sua ‘amicizia’ nei confronti dei pubblicani e dei peccatori ha provocato, senza cenno di predica, la conversione di Zaccheo, della peccatrice, di Pietro. Gesù è l’Agnello di Dio venuto a prendere su di sé le nostre miserie e sofferenze. È salito sulla croce per noi, ha invocato dal Padre il perdono, ha portato in paradiso un ladro. Risorto, apparve ai discepoli dicendo: ‘Ricevete lo Spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi’ (Gv 20, 22). Ciò che danneggia la bellezza di questo sacramento è il non conoscere l’amore di Gesù, ostacolati dalla nostra presunzione. Gesù afferma: ‘Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione’ (Lc 15,7 ripetuto in 15,10). È straordinario, anzi divino e commovente, il comportamento del Padre del figlio prodigo: lo lascia libero di andarsene, gli dà la parte dell’eredità, l’aspetta in silenzio e appena lo intravede, ‘commosso gli corre incontro, gli si getta al collo, lo bacia’ e festeggia il figlio ritrovato al quale ridà tutta la dignità perduta. Ecco alcune indicazioni pastorali per la celebrazione del sacramento della riconciliazione: partire dalla Parola di Dio. Essa mi mette davanti al Padre misericordioso che in Gesù crocefisso e risorto, nella potenza dello Spirito, mi offre ciò che solo a Lui è possibile: il perdono, ossia il dono per eccellenza che annulla il peccato. Permettere alla Parola di fare luce sulla mia reale situazione di bene e di male. Lasciandomi illuminare comincio a vedere ‘le menzogne segrete con cui inganno me stesso’ L’incontro con Dio risveglia la mia coscienza, perché essa non mi fornisca più un’autogiustificazione, non sia più un riflesso di me stesso e dei contemporanei che mi condizionano, ma diventi capacità di ascolto del Bene stesso’ (Spe salvi, n. 33). Alla luce dei Comandamenti, delle Beatitudini, del comandamento nuovo di Gesù, dovrebbe emergere la confessione del bene fatto di cui ringraziare il Signore e del male di cui chiedere perdono. La confessione ideale è essenziale, sincera, fiduciosa, accompagnata dal vero pentimento, senza scuse, senza incolpare gli altri. Ma quel che più conta è confessare che la misericordia del Signore è più grande del mio peccato. Anzi, che l’Amore Misericordioso mi ha già perdonato nella Pasqua di Gesù. Il dolore per aver offeso Dio, i fratelli e me stesso si trasformano in gioia quando il sacerdote mi offre in nome di Gesù il perdono. ‘Il Signore ha perdonato i tuoi peccati, va’ in pace!’ . Questo momento è paragonabile al momento della consacrazione eucaristica. In questa il pane e il vino diventano Corpo e Sangue di Cristo, nell’assoluzione il peccatore diventa l’uomo nuovo, purificato e santificato dal sangue di Cristo. Ri/comincia una vita nuova in comunione vera col Signore, con gli altri, con se stesso, con il mondo. Questa vita occorre custodirla, impegnandoci a non ricadere. Siccome i peccati, per la nostra debolezza e responsabilità, si ripetono, non ci venga a noia riconoscerli ancora e umilmente riconfessarli, credendo fortemente che la grazia sacramentale opera realmente la nostra conversione, perdonandoci 70×7 volte. L’esperienza cristiana è essenzialmente esperienza di misericordia. Peccatori continuamente perdonati, sentiremo più gratitudine verso il Padre misericordioso e impareremo a diventare misericordiosi coi nostri fratelli e con noi stessi.

AUTORE: Mons. Domenico Cancian