Nella calza della Befana, gli umbri hanno trovato quest’anno quello che la Giunta regionale ha definito “un modello virtuoso di gestione integrata dei rifiuti”. Se si tratti di dolci o di carbone è ancora tutto da capire.
Mettere le mani nella “monnezza” è uno dei terreni amministrativi più complessi e minati, dove le soluzioni sono tutt’altro che facili e dietro l’angolo. Lo dico senza nascondermi dietro un dito: non vorrei essere nei panni di chi – in un momento come quello attuale – è chiamato a fare scelte sull’intera filiera dei rifiuti: raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento. Con tutti i problemi che ogni fase del ciclo nasconde, in termini di rapporti coi territori, interessi vari ed eventuali (compresi quelli criminali), costi e benefici, soprattutto pensando alle questioni energetiche e ambientali che ne derivano.
Certo, qualche dubbio lo sollevano le scelte dell’amministrazione regionale di ampliare la capienza di alcune delle discariche umbre di un altro milione di tonnellate, di costruire un nuovo inceneritore da 130 mila tonnellate all’anno e 100 milioni di spesa (e poi dove?), di annunciare l’aumento della raccolta differenziata con poche idee su come farlo in concreto.
E poi, la delicatissima questione del coincenerimento dei rifiuti nei cementifici, sotto forma di Combustibile solido secondario (Css). Proprio a fine 2021, la Regione ha autorizzato i due impianti di Gubbio a bruciare nel complesso 100 mila tonnellate di Css-C. Come districarsi tra la posizione di chi considera la co-combustione in cementeria un esempio virtuoso di economia circolare e chi, singolo o comitato, ripete che bruciare rifiuti calpesta il diritto alla salute a causa delle sostanze nocive prodotte?
Su rifiuti e dintorni vorremmo tornare presto a scrivere, a riflettere, analizzare e approfondire, perché – a fronte di tanti dubbi – una cosa è certa: c’è un difetto di comunicazione che non permette ai cittadini di valutare e di scegliere consapevolmente.
In questo senso, vorremmo richiamare la Settimana sociale dei cattolici italiani dello scorso ottobre a Taranto. Vanno valorizzati – come hanno indicato i partecipanti più giovani – “modelli di condivisione, di cooperazione e discernimento collettivo” che permettano di “condividere i rischi della transizione”. Passaggi che la politica e l’economia dovrebbero sempre avere a mente, cercando di coinvolgere nelle scelte anche coloro ai quali questa Terra – e il nostro ‘cuore verde’ – saranno lasciati in eredità.