Gesù, sulla strada verso Gerusalemme, incontra un tale (Mc 10,17). Dal dialogo scaturisce un insegnamento per i discepoli: “Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio!” (v. 23). Un termine, questo, che nel brano ritorna ben tre volte (Mc 10, 23-25) e due volte associato al termine “vita eterna” (vv. 17 e 30), riproponendo come centrale la prospettiva ultima della nostra vita. Gesù ci aveva ricordato nel Vangelo di domenica scorsa che il regno di Dio appartiene ai bambini e a chi ritorna come loro (Mc 10,14), sono loro i veri maestri della vita per comprendere il regno di Dio. “E preso un bambino, lo pose in mezzo a loro” (Mc 9,36).
La vita eterna
Il tema della vita eterna è infatti l’argomento dell’uomo che incontra Gesù lungo la strada: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?” (Mc 10,17). Quest’uomo, molto ricco, si approccia con il “vero tesoro” come se si parlasse di patrimonio da ereditare o da pretendere. Un atteggiamento simile lo ritroviamo nel brano del figlio che vuole andarsene dalla casa del padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta” (Lc 15,12).
L’amore verso il prossimo
L’atteggiamento dell’uomo descritto nel Vangelo di oggi non ha certo la strafottenza del giovane figlio che vuole andarsene da casa: è pio, devoto, si prostra davanti a Gesù, lo riconosce come Dio, lo appella infatti “maestro buono” (Mc 10,17). Ha osservato i comandamenti fin dalla giovinezza (v. 20). È Gesù che gli prospetta la seconda tavola delle Dieci parole: l’amore verso il prossimo (v. 19). Ma con quale atteggiamento vengono rispettate? Per amore? Per paura di perdere la faccia della persona educata? È il codice del buon cittadino di buona famiglia o quant’altro? “Queste cose le ho osservate” (v. 20), dirà di sé. C’è la consapevolezza che dietro queste parole ci sono le persone? Il “non uccidere” ha un nome implicito, quello del fratello; l’amore sponsale, da non tradire, ha dietro di sé una storia d’amore con una persona che ti ha dato la sua stessa vita; la verità non detta o negata può distruggere una persona; il furto, fatto di tante fattispecie, può far cadere nella disperazione quanti lo subiscono (v. 19).
Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri”
In realtà quest’uomo sembra andare con difficoltà oltre il rispetto formale, come il fratello maggiore nel brano citato precedentemente: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando” (Lc 15,19). Emerge, in questo parallelo tra i due brani citati, la tristezza di entrambi. Il testo odierno ci presenta quest’uomo che se ne va triste di fronte alla proposta più radicale di Gesù: “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri” (Mc 10,21). Il testo di Luca presenta a sua volta il fratello maggiore che si rifiuta di far festa nella casa del padre… “Ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morte ed è tornato in vita” (Lc 15,32).
“Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio!”
Entrambi hanno tutto ma rischiano di perdere il “vero tesoro”: la gioia eterna nella casa del Padre, la vera ricchezza. Se hai tutto ma non sei disposto a perderlo per l’eredità che non si consuma, possederai dei beni ma rischi di perdere il Bene. Il “vieni e seguimi” (v. 21) ha bisogno di leggerezza, necessita della semplicità dei bambini che lasciano il gioco di grande valore economico per l’insignificanza economica di un Lego, con cui costruire insieme a un altro bambino i sogni che portano nel cuore. Condividere un sogno ha un valore inestimabile, e quando il sogno è quello di Dio, realizzarlo è la nostra gioia. Non solo quella promessa nell’eternità, ma qui e ora, cento volte ciò che abbiamo lasciato. È la consapevole consolazione che Gesù vuole trasferire ai discepoli, preoccupati dalla sua affermazione di fronte al rifiuto di quell’uomo che voleva la formula per avere in eredità la vita eterna (Mc 10,17): “Quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio!” (Mc 10,23).
L’uomo non ha saputo investire l’unico vero bene: la sua vita.
Lo sguardo di amore di Gesù (v. 21) si tinge di delusione per l’occasione persa da quell’uomo di essere felice. L’uomo, che ha osservato i comandamenti fin dalla giovinezza (v. 20), non è stato un buon mercante, non ha saputo investire l’unico vero bene: la sua vita. Possiamo dire, con la prima lettura, che non ha chiesto la capacità di distinguere tra i beni che passano e quelli che restano per sempre. La sapienza e la prudenza sono da preferire a scettri e a troni (Sap 7,7-8). Non solo: l’autore considera queste virtù, infuse da Dio, di valore più alto di una gemma inestimabile (v. 9), fino ad amarle più della stessa vita (v. 10). Ma è sorprendente il fatto che, lasciando tutto per avere tali virtù, poi si può godere appieno di tutti gli altri beni.