Quasi non passa giorno senza che le cronache diano notizia di un nuovo caso di femminicidio in Italia; a volte anche due in un giorno. Il termine “femminicidio”, nuovo di zecca solo pochi anni fa, è divenuto ora comunissimo, anche se il suo significato non è definito con chiarezza. Femminicidio non è, genericamente, il nome dell’omicidio ogni volta che la vittima è una donna; e neppure ogni volta che la vittima è una donna e l’uccisore un uomo.
Si parla di femminicidio, più specificamente, quando fra la vittima (donna) e l’uccisore (uomo) vi era al momento del delitto un rapporto di coppia; oppure un rapporto vi era stato ma era finito; oppure questo rapporto di coppia non era finito perché non era mai nato, ma era nella mente dell’uccisore. Si vede bene l’elemento comune di tutti questi casi, pur diversi fra loro: ed è che l’uccisione è il modo (perverso) nel quale un uomo vuole affermare, davanti a se stesso, alla vittima e al mondo, che quella donna è cosa “sua”. Lo è perché lui lo vuole – non importa cosa ne pensi lei – e vuole che resti tale per l’eternità.
L’eternità della morte, appunto. Non a caso, con una certa frequenza (anche se non nella maggioranza dei casi) subito dopo il delitto l’uccisore uccide anche se stesso, o comunque ci prova. Talvolta, ed è il caso più tragico, uccide anche i figli.
Certo, la letteratura è piena di episodi del genere: come quello di Francesca da Rimini nel quinto canto dell’Inferno, e quello di Otello e Desdemona. Ma questi appartengono a secoli molto lontani da noi. È impressionante scoprire come certi oscuri meccanismi funzionino anche adesso che tutti crediamo di essere più civilizzati.
Probabilmente, a parte le spiegazioni psicologiche, sempre incerte, c’è una mentalità che inconsapevolmente viene trasmessa da una generazione all’altra. La mentalità per cui è un “vero uomo” quello che se vuole avere una cosa (qualsiasi cosa), la fa sua, non importa se a buon diritto oppure con la prepotenza, l’inganno o la frode. Non c’è spazio per il rispetto dei diritti e dei bisogni degli altri, tanto meno per la generosità della donazione e della rinuncia. Non è proprio così che oggi vengono abituati tanti ragazzi?