Ve li ricordate gli imprenditori intercettati al telefono la notte del terremoto del 2016, quelli che si sfregavano le mani e ridevano pregustando lauti guadagni dalla ricostruzione? Ci apparivano disgustosamente “sciacalli” perché lucravano su una tragedia. Ebbene, mentre tutte le analisi dei vent’anni di occupazione in Afghanistan dimostrano il fallimento di quella scelta, dell’apparato militare, della visione geopolitica e, soprattutto, a danno della popolazione afghana, gli unici a sfregarsi le mani “soddisfatti e rimborsati” sono le multinazionali del settore bellico.
Dopo la caduta del muro di Berlino, quelle industrie avevano avuto un calo a picco di produzione, vendita e azioni; e tuttavia, in questi vent’anni hanno visto crescere esponenzialmente i loro utili. Paradossalmente, nello stesso periodo dell’occupazione, l’Afghanistan ha raggiunto il triste primato della nazione più insicura al mondo, e ha contato 14.700 vittime civili negli attacchi suicidi (378 dall’inizio del 2021).
Solo nell’ultimo decennio sono stati 49.030 i morti e i feriti a causa di esplosioni e, di questi, 24.930 i civili (fonte Aoav – Action on Armed Violence ). Insomma, anche il buon senso suggerirebbe di considerare la guerra come il più dannoso degli strumenti per garantire la sicurezza. Solo le industrie di armi sostengono il contrario.