Ancora una parabola all’apparenza scandalosa e scioccante: Dio viene paragonato ad un giudice insensibile e corrotto. Un accostamento urtante e brutale. Solo Gesù poteva creare con la sua inesauribile fantasia creativa un confronto così ardito e dissacrante, ma proprio per questo capace di colpire l’immaginazione popolare e di incidere in modo indelebile sulla memoria degli ascoltatori. La difesa dei diritti delle vedove e degli orfani è un tema molto frequente negli scritti profetici della Bibbia, però la nostra parabola non lo usa per denunciare soprusi e ingiustizie, ma per invitare gli ascoltatori ad una preghiera costante, insistente e ostinata come quella della vedova qui descritta. L’introduzione orienta subito l’attenzione del lettore su questo tema: “la necessità di pregare sempre senza stancarsi”.
Un insegnamento per noi, che vorremmo avere tutto e subito con facilità e senza sforzo, e non sappiamo più attendere. Gli alberi più preziosi sono quelli che crescono lentamente.L’insegnamento trova il suo corrispettivo nella parabola gemella dell’amico importuno che, a mezzanotte, bussa ostinatamente alla porta del suo vicino di casa finché non ottiene il pane che chiede in prestito (11,5-8). Sul tema della preghiera Luca ha ancora una parabola da raccontarci, quella del fariseo e del pubblicano al tempio, che segue immediatamente la nostra (18,9-14). Insieme, queste tre parabole costituiscono una specie di piccolo catechismo sulla preghiera. Esso intende insegnare quando e come pregare: sempre, con insistenza, con fiducia e umiltà.
Lo sfondo di questo insegnamento è quello degli ultimi tempi, che il cristiano vive nell’attesa del ritorno del Figlio dell’uomo. La nostra parabola ne è incorniciata dal brano che precede immediatamente la nostra parabola (17,22-37) e dalla conclusione a sorpresa che Gesù pone alla fine del nostro racconto (18,8). La preghiera cristiana segna il tempo dell’attesa come ricerca di Dio e comunione con lui. La parabola presenta due attori principali: un giudice e una vedova, descritti efficacemente con poche pennellate. Il giudice della città è un uomo corrotto che non crede a nulla e non rispetta nessuno; è mosso solo da interessi egoistici e da sete di denaro, perciò non si cura dei poveri che non possono comprarsi le sue sentenze. Ma questa volta ha fatto male i suoi conti, perché incappa in una vedova insistente e ostinata, decisa ad ottenere giustizia a tutti costi.
La figura della vedova è molto cara a Luca, che la nomina ben 9 volte nel suo Vangelo, contro le 2 di Marco, mentre essa è ignorata completamente da Matteo e da Giovanni. La vedova viveva un’esistenza difficile, perché non aveva più il sostegno del marito in una società dove solo gli uomini contavano. Sembra che la nostra donna abbia un contenzioso con i parenti o i debitori del marito per questioni ereditarie. La sua sola arma è l’insistenza ostinata con la quale importuna ogni giorno il giudice, che deve farle giustizia, e la volontà di non arrendersi davanti alle difficoltà che incontra. Proprio questa sua perseveranza riesce a smuovere il giudice che confessa la sua sconfitta in un breve soliloquio, come sa farne Luca nei suoi racconti. Egli riconosce di essere una persona insensibile ai richiami di Dio e della sua coscienza, di non avere rispetto per nessuno perché vede solo il suo interesse, ma quella donna gli fa paura.
La sua insistenza lo fa impazzire; ogni volta che la incontra è come ricevere un pugno in faccia, come se ne uscisse con un occhio pesto (è il senso letterario del verbo greco che usa: ypèpiazein). Capisce che è nel suo interesse, se vuole vivere in pace, dare ascolto finalmente a quella donna ostinata e perseverante. A questo punto scatta il commento di Gesù: se anche il magistrato più corrotto e crudele non resiste alla preghiera insistente della vedova, figuriamoci se Dio può resistere alla preghiera dei figli poveri che gridano a lui! Qui il giudice lascia il posto a Dio Padre misericordioso, e la vedova è sostituita dalla Chiesa e dai singoli credenti in difficoltà nel cammino della loro storia, che fanno salire a Dio la loro supplica giorno e notte. In ogni ora del giorno e della notte sale a Dio la preghiera cristiana nel mondo. Essa ha sicuramente la sua efficacia sul cuore del Padre che è nei cieli, che interverrà decisamente per amor loro.
Se quel giudice iniquo è stato vinto dalla preghiera di una vedova povera e disarmata, quanto più sarà commosso il cuore misericordioso di Dio dalla preghiera dei suoi poveri che gridano a lui nella Chiesa. Dio non può essere minimamente paragonato a un giudice disonesto; siamo agli antipodi, questi semmai è la controfigura di Dio, il suo esatto contrario. Con questo accostamento paradossale, con questo confronto per assurdo, però, Gesù vuole inculcare nei suoi discepoli, ai quali è rivolta la parabola, la certezza della venuta del regno di Dio, nonostante tutto faccia pensare il contrario e faccia nascere il dubbio sull’efficacia della preghiera di attesa. Gesù, al di là della raccomandazione di una preghiera frequente e insistente, vuole comunicare ai credenti di tutti i tempi la certezza dell’ascolto di Dio ad ogni loro autentica richiesta di aiuto. Egli definisce quelli che pregano “gli eletti”, cioè i figli che Dio stesso si è scelti e ama. Se indugia nell’intervenire, ha le sue buone ragioni di pazienza e indulgenza (Luca usa il verbo greco makrotimèin, che significa essere paziente, temporeggiare) per far grazia a tutti e tutti salvare.
Accanto a questa assicurazione dell’intervento certo e deciso di Dio, resta aperto un interrogativo che riguarda la fede degli oranti: “Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà fede sulla terra?”. L’ascolto di Dio è fuori discussione ed è garantito, il problema siamo noi che non possiamo garantire la nostra fiduciosa attesa e la nostra fedele perseveranza. Dio verrà sicuramente in nostro soccorso, ma noi uomini siamo preparati ad accogliere il suo intervento decisivo alla fine dei tempi? Nell’apparente assenza di Dio, l’uomo può vivere solo di fede, quella che si esprime nella preghiera vigilante e insistente. L’interrogativo tragico di Gesù rimane senza risposta, perché siamo noi a doverla dare. È un avvertimento e un allarme.