La “chiamata a sé” da parte di Gesù nei confronti degli apostoli, come abbiamo ascoltato la domenica precedente (Mc 6,7), ha la sua conclusione nel brano odierno: “Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato” (Mc 6,30). Il racconto delle meraviglie compiute, i successi della loro attività pastorale, che il Maestro accoglie, fanno dimenticare la fatica, la stanchezza e, forse, anche l’equilibrio per una sana condotta di vita.
Lo straordinario del Vangelo nell’ordinario della vita
Possiamo leggere l’esperienza degli Apostoli in chiave attuale. Le delusioni della vita, sia di natura pastorale che professionale o relazionale, così come l’esaltazione dei successi, rischiano di distaccarci dalla realtà, rendendoci incapaci di vedere i limiti e i punti di forza della nostra vita e della nostra azione. Chissà, forse Gesù, oltre a garantire loro un meritato riposo, vuole anche farli rientrare nella quotidianità, condurli ad amare l’ordinario della vita nel quale immergersi, per portare lì lo straordinario del Vangelo.
Le relazioni che risanano
Chissà, forse Gesù, nel condurli in disparte, con lui solo, in un luogo deserto (Mc 6,31), voleva insegnare loro l’importanza delle relazioni che risanano. Relazioni che – a dispetto delle esagerazioni emotive e dell’attivismo svolgono la riposante funzione di riordinare le idee, ma soprattutto di ridare il senso della misura e del limite. Condividere con lui gioie e speranza, fallimenti e cadute, evita lo sprofondamento nella disperazione e il lamento nichilista che ci rende ciechi anche verso le nostre potenzialità e capacità, che il Vangelo indica come talenti regalati a ciascuno. Condividere con i fratelli l’esperienza vissuta fa superare il “leaderismo” esasperato che alimenta il “cancro della superbia”, aiuta a riconoscere i talenti altrui e favorisce la collaborazione.
Senza Gesù non possiamo nulla
Trovare momenti di intimità con Gesù ci libera dall’onnipotenza del sentirci indispensabili. Ci aiuta a riconoscere che anche i successi non sono medaglie da appuntarci al petto, ma occasione di gratitudine per l’opera che il Signore continua a compiere in noi, a servizio dei fratelli. Il Vangelo ci ricorda che senza di Lui non potremo fare nulla, “come il tralcio non può vivere e portare frutto se non rimane innestato nella vite” (Gv 15,1-8). Il Vangelo relativizza anche le nostre “performance” pastorali, ma ciò può essere una indicazione anche per le attività di ciascuno: “Siamo servi inutili, abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.
Parte di un unico progetto
Non è un invito alla mediocrità, ma sentirsi parte di un unico progetto: costruire il Regno. Ognuno è indispensabile a motivo dei talenti che gli sono stati donati, ma, se non è disposto a unirli con i talenti altrui, a “trafficarli”, a rischiarli, a farne patrimonio comune, fino al punto d non riconoscerli più come propri ma di tutti… è come il servo a cui è stato dato un talento e, per paura di perderlo, lo ha nascosto (Mt 25, 24-30). Il servo è definito “inutile” dal Vangelo non quando non ha successo, ma quando non è disposto a rischiare la relazione e la condivisione. Infatti chi ama rischia, investe, e anche se non sempre ha successo, se non altro, ha scelto di mettersi in gioco. Il “ritiro spirituale” compiuto da Gesù con i suoi è breve, perché il deserto non è la vita nella quale siamo stati gettati. In breve il Vangelo riporta i Dodici alla vita vera: “Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero” (Mc 6,33).
La Parola è rivolta ai pastori della Chiesa
La lettura dei testi di questa domenica è si rivolta a tutti, perché a ciascuno il Signore affida una missione. Egli infatti “ci ha scelto prima della creazione del mondo” (Ef 1,4), ma è innegabile che in modo particolare questa parola è rivolta ai Pastori della Chiesa. Una forte caratterizzazione è data dalla prima lettura , tratta dal libro del profeta Geremia (23,1- 6). Il termine “pastore” identifica coloro che sono chiamati a pascere “il gregge che il Signore ha affidato”: costoro sono chiamati a reggere e condurre il popolo di Dio, che si tratti di presbitero, vescovo o Papa. Nessuno è padrone del gregge, ma servo del popolo che il Signore a lui ha affidato. Uno solo è il vero pastore: il Signore Gesù, chiamato dalla liturgia “Pastore dei pastori”. L’invettiva del profeta Geremia è un monito rivolto ai Pastori, ma declina responsabilità diverse: più alta è la responsabilità affidata, più gravi sono le conseguenze di scelte sbagliate sul popolo di Dio affidato a quella persona.
L’appello di papa Francesco ai vescovi
Proprio per questo motivo Papa Francesco continuamente rivolge un accorato appello ai vescovi di essere prudenti nel discernere i candidati al sacerdozio. Le comunità cristiane hanno il diritto di essere guidate da Pastori “secondo il cuore di Dio” (Ger 3,15), non da Pastori che vogliono realizzare se stessi, secondo il proprio progetto.