Il mondo ha bisogno del Pane spezzato

Liturgia e società nella riflessione di padre Vittorio Viola, responsabile dell'Ufficio liturgico regionale

Ancora una volta la Settimana liturgica propone all’attenzione della Chiesa italiana una tematica centrale del celebrare cristiano che è, appunto, il suo essere in relazione con la città: ‘Celebrare nella città dell’uomo. Comportatevi da cittadini degni del Vangelo’. Non c’è questione liturgica che non porti ad una riflessione viva sulla Chiesa. Non ci stancheremo mai di ricordare, insieme al Concilio Vaticano II, che ‘la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù’ (SC 10). Criterio sicuro di ecclesialità del nostro agire è, quindi, il suo nascere e il suo giungere a pienezza nella celebrazione liturgica. Perciò la riflessione che il Centro azione liturgica propone entra nel vivo del cammino della Chiesa italiana. La traccia di riflessione in preparazione al Convegno ecclesiale di Verona individuava cinque ambiti della testimonianza di Gesù Risorto, speranza del mondo. Il quinto ambito veniva così descritto: ‘quello della cittadinanza, in cui si esprime la dimensione dell’appartenenza civile e sociale degli uomini. Tipica della cittadinanza è l’idea di un radicamento in una storia civile, dotata delle sue tradizioni e dei suoi personaggi, e insieme il suo significato universale di civiltà politica’. Il testo proponeva anche alcune domande per la riflessione che è utile riascoltare: ‘Che cosa apporta la speranza cristiana all’impegno di cittadinanza? Come l’impegno civile, nel rispetto della sua specificità sociale e politica, può essere un modo della testimonianza cristiana? Come evitare che l’interesse per le grandi questioni per la cittadinanza del nostro tempo si riducano ad una questione di schieramento ideologico, stimolando invece forme di impegno significativo? Come la dottrina sociale della Chiesa può diventare un riferimento fecondo?’. È evidente che la celebrazione cristiana non può non confrontarsi con l’ambito che queste domande individuano con esattezza. Mettere in relazione liturgia e città dell’uomo è questione molto attuale: nel profondo disorientamento in cui il mondo si trova, risponde all’attesa ‘ spesso negata ma ben presente ‘ di una parola di senso da parte della comunità cristiana. La questione si è sempre posta come centrale nella vita della Chiesa. Non possiamo non ricordare la bella pagina della Lettera a Diogneto, testimone di come, fin dalla prima generazione cristiana, questa relazione con il mondo chiede risposte, impone un confronto. Ed è un confronto che deve necessariamente fare i conti con il paradosso della vita cristiana. Lo dice chiaramente l’autore della Lettera a Diogneto: per i cristiani ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera perché la cittadinanza dei cristiani è nei cieli. È dentro questa visione che si colloca il fatto celebrativo come il momento più alto della relazione con il mondo, inteso anzitutto come contesto immediato di vita; come città dell’uomo, appunto. Tale relazione è, potremmo dire, connaturata alla liturgia stessa, per come quest’ultima viene descritta dalla Sacrosanctum Concilium (cfr. n. 7). Infatti, liturgia è la continuazione nell’oggi del sacerdozio di Cristo, vale a dire attualità del suo mistero pasquale di passione, morte e risurrezione. Il mistero pasquale continua ad essere presente e, quindi, attuale nell’azione celebrativa per raggiungere il fine della santificazione dell’uomo, vale a dire del coinvolgimento esistenziale dell’uomo con il mistero pasquale ri-presentato. Tre, dunque, gli elementi: il sacerdozio di Cristo (il mistero pasquale); l’azione celebrativa (tutto ciò che attiene alla nostra sensibilità, i gesti, le parole, gli oggetti); la santificazione dell’uomo (la vita di chi celebra). Se manca anche uno solo di questi elementi, non c’è liturgia. Se l’azione celebrativa non è connessa al mistero pasquale e alla vita dell’uomo, non c’è celebrazione cristiana. Limitando questa affermazione allo specifico del tema della Settimana, possiamo dire che se il celebrare non raggiunge, attraverso il coinvolgimento esistenziale dei fedeli con il mistero pasquale, la città dell’uomo, fallisce il suo obiettivo. Rischiamo di precipitare dentro un esteriorismo ed un giuridismo che ben poco hanno a che vedere col celebrare cristiano. È esattamente in questo rapporto azione celebrativa – vita dei fedeli che si gioca anche la relazione con la città dell’uomo. Una celebrazione che attraverso la vita dei fedeli non porta il mistero pasquale a diretto contatto con il mondo (dove i cristiani stanno come l’anima nel corpo) non raggiunge la sua finalità. Tornando a Verona: l’ambito della cittadinanza come luogo della testimonianza della speranza è il contesto concreto al quale l’esperienza del Risorto, resa possibile dalla celebrazione, non può essere estranea. L’azione celebrativa cristiana, per quello che è in sé, non può fare a meno della città dell’uomo. E questo in perfetta coerenza e continuazione con la logica dell’Incarnazione, per la quale nulla di ciò che è umano può esserci estraneo, nulla di ciò che tocca la vita dell’uomo può non interessare la nostra testimonianza cristiana: è desiderio del Padre che tutti vengono coinvolti attraverso lo Spirito nella vita del Figlio. Esistono in questa relazione alcuni rischi. Le problematiche che una città vive non possono certamente strumentalizzare la nostra azione celebrativa. Una celebrazione non può mai diventare un comizio sindacale. Si tratta, piuttosto, di realizzare nella celebrazione un incontro dove la realtà che noi viviamo viene illuminata da ciò che noi celebriamo, non il contrario. Altro rischio che possiamo correre nel cercare questo raccordo tra la celebrazione e la città dell’uomo è quello di ridurre l’azione liturgica ad una dimensione moralistica nei confronti della città dell’uomo, ad una invettiva contro lo sfacelo del mondo e contro le sue ingiustizie. La testimonianza viva della speranza che ogni celebrazione rende possibile è la più forte denuncia della disperazione del mondo. L’azione celebrativa è per se stessa un luogo di rivelazione sul nostro vivere, e quindi anche sulla città dell’uomo. È nella celebrazione che dovrebbero nascere decisioni che portano nella città dell’uomo la presenza del Pane spezzato che siamo noi che lo mangiamo. Come conseguenza dell’ascolto della Parola e del fare comunione con il Corpo offerto di Gesù, sia come singoli sia come comunità, siamo chiamati a vivere la testimonianza che è la santità sia nelle personali decisioni di vita sia nel pensare strutture di santità che permettano di vivere questa testimonianza del Santo vivo dentro di noi, del Risorto vivo in noi. La celebrazione porta dentro la città dell’uomo esattamente questa presenza viva della speranza, in due modi. Il primo è quello dell’Incarnazione, che è la modalità di presenza nel mondo scelta da Dio. L’altro modo è quello del ritorno glorioso di Gesù. Questa tensione escatologica, che la celebrazione continuamente testimonia, ricorda alla nostra città terrena la meta della città celeste. Di questo il mondo ha bisogno per vivere: dimenticando Dio, meta presente e ultima del cammino dell’uomo, il mondo non può far altro che dimenticare anche l’uomo. Lo constatiamo ogni giorno.

AUTORE: fr. Vittorio Viola ofm