Vi accennava ultimamente la tremula luce di Abat jour: è urgente – dicevamo – recuperare un sensus Ecclesiae che esalti come merita, cioè come Gesù voleva, quell’unica realtà che Egli ha lasciato dietro di sé, la Chiesa. Ma in chiave di servizio al mondo e non in chiave autoreferenziale, che oltretutto sarebbe controproducente, allontanerebbe quegli uomini a beneficio dei quali è stata pensata. Una Chiesa non autocentrata. Il tema è delicato. L’extra Ecclesiam nulla salus per secoli è stato il primo dato anagrafico della carta d’identità con la quale ci presentavamo al mondo, e non può essere cancellato con un tratto di penna, ma va reinterpretato. Una Chiesa che non sia al centro non serve a nulla. A lei, e a nessun altro, è stato detto ‘Chi disprezza voi disprezza me’ e ‘Io sono con voi fino alla fine dei secoli’. Ma la centralità della Chiesa va ripensata. Alla luce dell’evoluzione del mondo e alla luce di quel supremo esercizio di autocoscienza ecclesiale che è stato il Concilio Vaticano II. Il mondo che cambia ti costringe ad aggiornare anche le categorie con le quali, ispirandoti alla fede, cerchi di reinterpretarlo. Quando, a ridosso della Seconda guerra mondiale, teneri rampolli di quei gloriosi efebei che erano i seminari di allora, ci chiedevamo quando la Chiesa avrebbe conquistato il mondo che stava diventando un villaggio globale, e facevamo i conti, e ci risultava (cito a braccio) che i cattolici erano 800 milioni su 2 miliardi abitanti del globo; noi buttavamo giù i nostri exit poll ante litteram, dai quali risultava che la conquista del mondo era comunque questione di tempo. E prendevamo a fuoco per il programma ciò che nel suo diario aveva abbozzato un giovane missionario morto prematuramente (di quale ordine? P. Treves?): ‘Varcare gli oceani, salvare un’anima e poi morire!’. Oggi noi cattolici nel mondo siamo uno su 6. Ma nel chiarore abbagliante dell’autocoscienza ecclesiale che il Concilio ha emanato, la distinzione fra Chiesa e Regno ci ha ridato la giusta serenità, quella che muove dalla coscienza che Dio non abbandona nessuno, che il Padre di Gesù è al tempo stesso Dio della Chiesa e il Dio di tutti. E allora non riesci a sorprenderti più di tanto quando sul Regolamento applicativo del Comitato per gli interventi caritativi a favore del Terzo mondo della Cei, all’art. 5 B, leggi che tra le attività non finanziabili ci sono le attività e i programmi prettamente religiosi. E questo sulla scorta di una precisa presa di coscienza: la Conferenza episcopale italiana (cito testualmente) è consapevole che il suo impegno (questo tipo di impegno, che esclude quello che i talebani nostrani riterrebbero indispensabile) si colloca in un contesto di testimonianza evangelica e di solidarietà. Con una grossa ‘ricaduta pastorale’, non vi pare?
Non finanziabili
AUTORE:
Angelo M. Fanucci