Un mio collega, direttore del settimanale del Friuli, ha scritto un bell’articolo intitolato Le due facce dell’immigrazione. Mette a confronto un avvenimento accaduto sabato 21 luglio, quando è stato arrestato Korchi al Mostapha, imam della comunità musulmana di Ponte Felcino sospettato di terrorismo, con il gesto eroico di Dragan Cigan di 31 anni, serbo bosniaco, che domenica 22 luglio è morto nell’impresa compiuta con successo, insieme ad un compagno marocchino, di salvare due bambini che stavano per annegare. Ragionando su questi due fatti vicini nel tempo il direttore del settimanale cattolico di Udine scrive che non è sufficiente, come fanno i giornali, affermare che anche tra gli immigrati vi sono i buoni e i cattivi, finendo per mettere in pagina solo i secondi, che invece sono una minoranza, ed invita i lettori a considerarli tutti come normali cittadini, eliminando assurde fobie per costruire una società migliore. Questo richiamo, ripetuto anche da molte altre fonti, religiose e laiche, l’abbiamo scritto più volte anche noi. È la linea presa dalla Chiesa nei suoi documenti e nella sua collaudata prassi sull’immigrazione, che deve essere considerata una necessità, una risorsa, una opportunità da affrontare con senso di solidarietà e accoglienza. Da qualche tempo, però, nei più avveduti qualcosa è cambiato e soprattutto dopo l’11 settembre 2001 ed in seguito ad altre dolorose e deludenti esperienze, che hanno portato a riflettere e riconsiderare altre componenti dell’immigrazione, un’altra faccia, quella della cultura e appartenenze a correnti o confraternite politico-religiose. In modo specifico è stata messa in discussione la questione dell’integrazione nella società italiana ed europea di gruppi di persone appartenenti all’islam non tanto come pura fede nel Dio clemente e misericordioso, che da tutti deve essere rispettata e tutelata come forma di libertà di coscienza, ma come ideologia sociale, come organizzazione della vita in tutti i suoi aspetti secondo categorie valutative di giudizio e regole di comportamento fondate su tradizioni più che millenarie. In una parola si può dire che si tratta di una cultura complessiva solidamente strutturata che mal sopporta le differenze. L’integrazione pertanto non può avvenire neppure in una prospettiva di ‘meticciato’, come ha suggerito il cardinale di Venezia, mons. Scola, perché rappresenterebbe una diminuzione e una contraffazione rispetto a ciò di cui non si può pensare nulla di migliore qual è considerato dai credenti l’Islàm, mentre il mondo occidentale è considerato corrotto e in declino e la stessa religione cristiana superata. Questo tipo di pensiero è generalmente proprio di ogni buon musulmano. Da ciò possono derivare conseguenze logiche anche estreme. Si nota leggerezza e ignoranza in questo campo. Si parla, ad esempio, di imam che dovrebbero predicare in lingua italiana dimenticando che il libro sacro è scritto in arabo e la preghiera va fatta in quella lingua che tutti devono conoscere, tanto che un italiano che si converte prende un nome arabo. Si parla di fare una legge sulla libertà religiosa, non si potrà certo impedire di usare una lingua sacra nella liturgia pubblica della preghiera del venerdì. Prima che sia troppo tardi urge sapere fino a che punto e a quali condizioni potrà essere possibile, non l’integrazione o la conversione o il meticciato, ma una degna convivenza pacifica e fruttuosa, nel rispetto gli uni degli altri.
La terza faccia dell’immigrazione
AUTORE:
Elio Bromuri