Non è reazione bensì strategia

Quando il Papa celebra la messa in piazza San Pietro di fronte a migliaia di fedeli e al mondo intero tutti possono seguire le parole, i gesti, il significato del rito. Quella è la maniera di celebrare della Chiesa cattolica, regolata dalle norme ispirate alla riforma liturgica del Concilio Vaticano II (1962-1965). Quel rito può essere celebrato anche in latino, la lingua ufficiale delle Chiesa romana, soprattutto quando l’assemblea è multilingue. Che vi sia una minoranza, che con determinazione a mio avviso eccessiva, reclami di poter celebrare con il rito precedente, e che Benedetto XVI lo abbia consentito come forma ‘straordinaria’, è una faccenda tutta interna alla disciplina ecclesiastica. Perché allora tanto clamore da parte dell’opinione pubblica internazionale, ecclesiale e laica? Giornalisti e intellettuali che non vanno mai a messa, che si dichiarano atei o agnostici, si appassionano alla questione e scrivono a favore o contro, secondo gli schieramenti di appartenenza. Schieramenti per lo più non teologici, ma politici, o l’uno e l’altro insieme. I conservatori, gli intransigenti, oggi applaudono anche per le Risposte della Congregazione per la dottrina della fede, interpretando tutto ciò come un freno al dialogo con le altre Chiese e religioni, uno stop alle aperture tipo incontro di Assisi e ad ogni apertura rivolta a guardare con simpatia il mondo dei non cattolici, non cristiani e non credenti che affollano il globo. Una specie di sindrome isolazionistica che attraversa vari strati di cattolici. I progressisti leggono con la stessa ottica, e protestano. Nelle intenzioni di Benedetto XVI, a mio avviso, si possono leggere altri pensieri, quelli che egli esprime nella lettera che accompagna il ‘motu proprio’. Questi pensieri si possono situare alla luce della – diciamo così – strategia ecumenica di Benedetto XVI: impedire ulteriori divisioni, agire su quelle già avvenute con gesti concreti. L’ecumenismo dei gesti concreti che va al di là delle buone intenzioni. Come primo punto, quindi, tende ad impedire l’ulteriore allontanamento dei tradizionalisti, iniziato e portato ad estreme conseguenze da Lefebvre, e possibilmente recuperare a piena unità la frangia di cattolici nostalgici attaccati al passato. Secondo il Papa, questo può essere fatto senza sacrificare nulla delle acquisizioni del Concilio Vaticano II. L’unica riserva che Ratzinger intende prendere non dal Concilio, ma dai suoi commentatori, è che non sia considerato una rottura ma una continuazione della millenaria tradizione della Chiesa. L’altro segno concreto è quello della chiarezza delle posizioni, il venire allo scoperto delle diversità. Qui il discorso si farebbe lungo e difficile, ma a mio modesto avviso la riscoperta chiara delle identità non nuoce all’incontro, anzi lo rende credibile ed efficace: assomiglia alla posizione fortemente sostenuta dagli evangelici, detta delle ‘diversità riconciliate’. Un segnale indiretto di questa strategia la possiamo riscontrare nella dichiarata stima che Ratzinger ha espresso verso il rabbino Neusner (Disputa immaginaria tra un rabbino e Gesù) che contesta l’insegnamento di Gesù mostrando però di averlo ben compreso. Meglio chi rifiuta sapendo ciò che è in ballo, anziché le confusioni che non soddisfano l’esigenza della verità e non sono sufficienti a fondare una scelta di libertà. Se questa lettura è plausibile, ci sarebbe solo da prendere in considerazione tutte le direzioni verso cui tende il popolo di Dio, e non solo i nostalgici del Tridentino.

AUTORE: Elio Bromuri