Dal tempio di pietra distrutto al nuovo tempio, ricostruito in tre giorni (Gv 2,19), a partire dalla pietra rotolata via dal sepolcro (Gv 20,1). Questo passaggio tra la terza e la quarta domenica di Quaresima ci apre lo sguardo sulla Pasqua ormai vicina, come ricorda la “colletta” che introduce la celebrazione eucaristica: “O Dio, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina”. Abbiamo bisogno proprio della speranza della Pasqua: essere consolati dalla tristezza per i nostri lutti e rianimati dalla fatica di vivere.
La vita più forte della morte
Per un attimo proviamo a immaginare la distruzione del tempio come le nostre città terremotate. Queste distruzioni sono simili alla morte che distrugge ogni speranza. Ma dalle macerie, dopo un po’, appaiono dei fili d’erba che sembrano rinascere proprio da quelle pietre fredde, avamposto della morte.
Un filo di vita distrugge la coltre di morte che sembrava aver sigillato ogni speranza, come la pietra rotolata su quella tomba a Gerusalemme nel 33 d. C., come i sassi dei nostri paesi terremotati, come questa pandemia che sembra non avere fine. Un alito di vita, come un dono che viene dall’alto, se trova il terreno delle fede, “macerato” dalla speranza, rimane fertile e questo consente ancora una volta, lo sbocciare di un germoglio. Dall’alto della croce viene il dono che salva, così come ci ricorda il Vangelo: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14).
La fede in una persona viva, che è il Signore risorto, consente di non lasciare alla morte l’ultima parola, e non rende le morti del presente ‘carceriere’ della speranza del futuro. Questa fede è ben riposta, perché la gratuità della salvezza non dipende dalle nostre opere, come ci ricorda Paolo nella seconda lettura : “Per grazia infatti siamo stati salvati mediante la fede” (Ef 2,8-9). La fede è l’unica speranza, capace di rimuovere quelle macerie; altro che atteggiamento passivo! È il motore che può sbloccare la nostra accidia pastorale e può aprire il nostro sguardo sul futuro delle nostre chiese e dell’umanità stessa.
La fede ci dona la vita
È la fede in Gesù Cristo che ci fa alzare lo sguardo su quella croce e intravedere oltre il sangue e la morte, l’amore appassionato del motivo di quella morte: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16). Lui non ci salva solo dalla perdita definitiva perché si è scelto il rifiuto dell’amore. Credere in Lui significa non perdere l’opportunità di amare ogni giorno, di camminare ogni giorno nella speranza, di cambiare le situazioni di morte che assillano il nostro tempo.
La condizione del popolo d’Israele narrata in Cronache (prima lettura) può aiutarci al leggere anche il nostro tempo. L’esilio sembra essere la costante condizione causata dalla infedeltà (2Cr 36,14). Ma non è una questione morale, come certi “profeti di sventura” sembrano giustificare l’attuale situazione. Costoro si fanno interpreti della volontà di Dio decretando sentenze e invocando punizioni, costruendo confini morali e qualche volta geografici, sentendosi al sicuro a motivo delle loro certezze. “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17), ci ricorda l’evangelista Giovanni.
Il testo della prima lettura può chiarire meglio anche il brano della purificazione del Tempio compiuta da Gesù, ascoltato domenica scorsa (Gv 2,15-16).
Cosa significa “infedeltà a Dio”
L’infedeltà a Dio è fossilizzare lo sguardo sulle modalità della sua rivelazione nel tempo; che invece hanno continuamente bisogno di essere purificate per far emergere la perenne novità della sua Persona. Lui si accompagna in modo sempre nuovo all’umanità di ogni tempo. La distruzione del Tempio è una punizione divina o una purificazione? Quale è la vera causa (2 Cr 36,19)? È perché Israele ha sbeffeggiato i messaggeri di Dio e schernito i suoi profeti (v. 16)?
Anche oggi è più comodo ascoltare i “profeti di sventura” che propinano le loro certezze. Anche oggi necessita una purificazione dei nostri “templi” di certezze granitiche; forse alcuni vanno abbattuti. Forse questo è il tempo dell’esilio che il Signore vuole trasformare in esodo di salvezza, per farci riscoprire la perenne novità della sua presenza. La fraternità riproposta da Papa Francesco è una profezia dell’umanità rinnovata che cammina verso la Gerusalemme celeste. Umanità a cui non si chiede il passaporto di provenienza, ma se si cammina verso la stessa “montagna”, dove costruire insieme la “tenda dell’incontro”.