Celebriamo oggi il mistero più originale e profondo della fede cristiana, quello che apre la strada alla comprensione delle altre verità del nostro Credo. Senza la Trinità, tutto diventa inspiegabile. Noi professiamo Dio uno in tre Persone. Quando confessiamo il Dio unico escludiamo ogni tipo di numerazione; sant’Agostino dice: “Dio non si moltiplica, Dio è uno solo e unico e vero”. Ma Dio è anche trinità di Persone. Il numero 3 della Trinità non è un numero matematico, che indichi tre oggetti messi uno accanto all’altro per essere contati. Forse per questo rischio della conta, e ancor più per l’allergia ai concetti astratti, nel Nuovo Testamento non si usa mai la parola “Trinità”.
Parliamo di tre Persone divine perché non abbiamo altro linguaggio umano più adeguato per esprimerci. Con i 3 vogliamo esprimere l’unità nella differenza e la differenza nell’unità. Se Dio fosse solo uno, sarebbe solitudine e incomunicabilità. Se in Dio ci fossero due Persone, ci sarebbe separazione ed esclusione, l’uno sarebbe non solo distinto dall’altro, ma anche separato dall’altro; tutt’al più, i due starebbero faccia a faccia in contemplazione narcisistica. Il fatto che le Persone divine siano tre lo ricaviamo dalla rivelazione portataci da Gesù. E cominciamo a capire perché: il 3 è una realtà aperta, una triangolazione di rapporti, la possibilità di guardare al di fuori di se stessi. Il che impedisce a Dio di chiudersi nella sua solitudine e nel narcisismo della sua autocontemplazione e del suo autocompiacimento. E sono proprio questi rapporti che fanno esistere la Persone divine come uguali e distinte, eternamente uno nell’altro, l’uno per l’altro, mai l’uno senza l’altro.
È così assicurata l’identità del Padre, la differenza del Figlio, la comunione dello Spirito santo. Lo Spirito è il sospiro di amore del Padre in direzione del Figlio e il soffio di amore del Figlio nei confronti del Padre. Dio allora è famiglia, famiglia divina tenuta insieme dall’amore. Questo è il messaggio che ci viene portato nel breve brano del Vangelo di oggi, uno spezzone di quel lungo dialogo intessuto da Gesù nel cenacolo con i suoi discepoli prima della passione e continuato dopo la risurrezione. Quel dialogo è una specie di trattato sulla Trinità divina. Gesù aveva cominciato col dire: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conosceste me, conoscereste anche il Padre, perché io sono nel Padre e il Padre è in me, le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere” (Gv 14,8-11).
Poco prima, durante la festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme, aveva affermato solennemente la sua identità divina con parole simili a queste: “Io e il Padre siamo una cosa sola’ Se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io sono nel Padre” (10,30.38). Viene in mente l’immagine di san Giovanni Damasceno: “Nella Trinità, a somiglianza di tre Soli, ogni Persona divina è contenuta nell’altra, in modo che vi sia una sola luce nell’intima compenetrazione di tutti con tutti”. Per far capire che non esiste solo un rapporto di unità tra lui e il Padre, Gesù annuncia la presenza e la venuta dello Spirito santo, l’altro Paraclito (Consolatore), che il Padre dona dietro richiesta del Figlio per continuare la sua opera di salvezza: “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi” (14,16-17).
Si tratta dell'”Emmanuele”, il Dio con noi, inviato prima in Gesù e poi nella persona dello Spirito santo. Ma dove c’è lo Spirito, lì c’è anche il Padre e il Figlio: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”(14,23). I tre Soli si fondono insieme anche nel riempire di luce e di calore l’anima dei credenti. A Pentecoste abbiamo visto che il cristiano non solo beve l’acqua di vita, ma ne ingoia la sorgente. Oggi comprendiamo che egli non solo è illuminato dal triplice Sole divino, ma lo riceve dentro di sé divenendo, come Gesù, luce del mondo (Gv 8,12; Mt 5,14). Ogni credente diventa tempio del Dio Trinità, paradiso viaggiante, perché dove c’è Dio, lì c’è il paradiso. Nel Vangelo di oggi, come in gran parte dei discorsi di addio di Gesù, l’inabitazione di Dio Padre, Figlio e Spirito santo è presentata dal punto di vista di quest’ultima Persona. Lo Spirito è dono del Padre che passa attraverso il Figlio. Con lui le altre Persone divine vengono nel cuore dell’uomo, come nel loro santuario.
È un mistero grande; i discepoli non possono portarne tutto il peso. Provvederà lo Spirito santo il giorno di Pentecoste ad aprire totalmente la loro mente e ad insegnare e ricordare loro ciò che Gesù aveva già detto. Egli ha il compito specifico di guidare la Chiesa verso la verità evangelica tutta intera. E lo farà con la presenza e la compagnia delle altre due Persone divine. Gesù descrive i rapporti di comunione tra le tre Persone con le parole che abbiamo ascoltato: “Non parlerà da sé, ma dirà ciò che ha udito egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio, per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà”. La comunione trinitaria è comunicazione e scambio reciproco tra le Persone che la compongono. Nessuno può dire “suo” ciò che possiede insieme agli altri e comunica insieme a loro. Tutte e tre le Persone divine guidano la Chiesa, mediante lo Spirito, verso la comprensione sempre più chiara delle verità di fede annunciate da Gesù nel suo ministero terreno.
Non meraviglia dunque che la storia della Chiesa registri un progresso continuo nella formulazione del suo Credo. Le verità sono state chiarite, esplicitate, insegnate dai Concili ecumenici e dai Pontefici. Quella sulla Trinità trovò la sua formulazione piena nel I Concilio di Costantinopoli nel 381, quando fu formulato il credo che recitiamo ogni domenica nella messa. Ci sono voluti quasi quattrocento anni per esprimere in una terminologia tecnico-teologica una verità che i cristiani professavano e vivevano fin dai tempi apostolici. La Chiesa è come l’organismo umano: sviluppa nel crescere tutte le sue potenzialità, senza perdere la sua identità, in un processo di novità nella continuità.