Oggi fissiamo la nostra attenzione sul racconto di Pentecoste fornitoci da Luca nel libro degli Atti degli apostoli, anche perché il brano del Vangelo lo abbiamo già in parte commentato nella VI domenica di Pasqua. La pagina che leggiamo non è una cronaca, è un magnifico esempio di catechesi narrativa, dove la predicazione apostolica, come fa in molte pagine dei Vangeli, istruisce raccontando. Del resto le verità cristiane sono fatti storici meditati e proclamati, che nutrono la nostra fede. La professione di fede è un lungo racconto delle opere di Dio. Esso non è fine a se stesso: contiene al suo interno insegnamenti e commenti che svelano il disegno divino di salvezza e illuminano il nostro presente storico. Dio è sempre in azione nella nostra storia umana, per redimere e salvare l’uomo di ogni tempo. Dopo questa precisazione, entriamo nella trama del racconto. Come al solito, Luca situa gli eventi che narra nella cornice di tempo e di luogo che li caratterizzano.
Siamo nel giorno di Pentecoste a Gerusalemme. La Pentecoste (in ebraico Shawuot) era una festa giudaica che cadeva il 50′ giorno dopo la Pasqua. Ricordava l’arrivo degli ebrei ai piedi del monte Sinai e il dono della Legge, che era alla base dell’alleanza tra Dio e il suo popolo (Es cc.19-20). Col tempo s’era perso il ricordo di questo originale significato storico-religioso, e la festa aveva assunto un significato prevalentemente agricolo di ringraziamento. I contadini ebrei venivano al Tempio portando come offerta a Dio un covone di grano appena mietuto, come segno di riconoscenza per i frutti della terra. Ma il ricordo dell’Alleanza stipulata al Sinai rimase sullo sfondo, conservato da alcuni movimenti religiosi È abbastanza evidente, nel racconto di Luca, il richiamo ai fatti che si erano verificati al Sinai: c’è il fuoco che aveva incendiato il monte, quando Dio consegnò la sua Legge a Mosè; c’è il vento forte come un terremoto, che aveva scosso le rocce alla presenza di un popolo impaurito stipato ai piedi del monte.
I rabbini, nei loro commenti contenuti nei trattati del Talmud, narravano che Dio, quel giorno lontano, aveva proclamato la sua Legge in tutte le lingue del mondo. Tutti i popoli la udirono, ma solo Israele l’accettò e promise di osservarla. Da qui l’Alleanza esclusiva stipulata da Dio con il solo popolo ebraico. Il racconto di Luca fa riferimento a questa antica tradizione rabbinica delle lingue dei popoli, ad indicare che, in questa nuova Pentecoste, Dio allarga l’orizzonte della sua Alleanza a tutti popoli della terra. Tutti ormai sono popoli eletti, perché a tutti è diretta ora la parola di Dio che salva. È come se Dio volesse ricominciare da capo. Egli promulga una nuova legge, non quella delle tavole di pietra, ma la legge dello Spirito che agisce nel cuore dei credenti, guidandoli dall’interno sulla via della salvezza (Rm 8,2-9). Il ricordo dei fenomeni uditivi e visivi che accompagnarono l’evento di Pentecoste è un richiamo al racconto dell’antica Alleanza. C’è il boato del vento che scuote come un terremoto la casa dove sono raccolti i primi credenti; c’è il fuoco guizzante a somiglianza di fulmine che penetra nella casa e si divide in tante fiammelle che si posano sul capo di ognuno.
La presenza dello Spirito santo penetra nel mondo e lo scuote, come un ossesso liberato dal maligno (Mc 1,25-26); un fuoco purificatore brucia ogni scoria di peccato. È il battesimo in Spirito santo e fuoco di cui parlava il Battista (Lc 3,16), è “la forza dall’alto” promessa da Gesù, che riveste come una corazza la Chiesa inviata nel mondo (Lc 24,49), e la rende capace di resistere all’urto di ogni potenza di male (Mt 16,18: “Le forze degli inferi non prevarranno”). Gli effetti, che questa pioggia di fuoco produce, sono descritti con due brevi espressioni: “Furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito santo dava loro il potere di esprimersi”. La pienezza dello Spirito è conseguenza della Pasqua di Gesù. Giovanni (7,39) dice che prima di Pasqua “lo Spirito non c’era ancora, perché Gesù non era stato ancora glorificato”.
Con la Pasqua si è aperta la sorgente traboccante e inesauribile che zampilla verso la vita eterna (Gv 4,13). Prima di questo tempo, lo Spirito era presente a consacrare i profeti e le guide del popolo di Dio: ora con la sua pienezza crea figli di Dio donando loro la vita divina. Prima era come bere acqua da una sorgente, ora come ingoiare una sorgente che zampilla dentro ogni figlio di Dio e grida verso il Padre del cielo: “Abbà” (papà), insieme a Gesù. Il secondo effetto, quello del parlare in lingue straniere (glossolalia), indica l’universalità del dono offerto a tutti coloro che ascoltano la parola di Dio e credono in Gesù, a qualunque popolo o razza appartengano. Insomma, a Pentecoste è nata la Chiesa come popolo di figli di Dio in cammino verso la casa del Padre. È una lunga carovana di persone e di popoli provenienti da ogni parte del mondo, che confessano la propria fede, pregano e cantano in tutte le lingue della terra.
Nel deserto del Sinai nacque l’antico popolo d’Israele; a Gerusalemme, città della Pasqua e della Pentecoste cristiana, siamo nati tutti noi, nel soffio e nel fuoco dello Spirito. Si avvera la profezia cantata nel Salmo 87: “Tutti là sono nati. Si dirà di Sion: l’uno e l’altro è nato in essa. Il Signore scriverà nel libro dei popoli: là costui è nato. E danzando canteranno: sono in te tutte le mie sorgenti”, le sorgenti dello Spirito. Le letture della liturgia odierna mettono in evidenza tre dimensioni salvifiche del dono dello Spirito. Il racconto degli Atti descrive la dimensione ecclesiale del dono dello Spirito, che tende a creare la comunità di figli di Dio, composta da persona di ogni razza, lingua e nazione che è sotto il cielo. La Lettera di Paolo ai Romani illustra la funzione escatologica del dono dello Spirito, che garantisce, come una caparra, la vita eterna con Dio e la risurrezione del nostro corpo mortale alla fine dei tempi (Rm 8,11). Il Vangelo di Giovanni insiste sulla dimensione personale del dono di Dio, che abita in noi facendoci templi vivi della Trinità beata, e diventando Maestro interiore e guida per la comprensione profonda della verità portata da Gesù (Gv 14,16.26).