Invitato calorosamente ed accolto con deferenza e amicizia dal vescovo Ceccobelli di Gubbio, mons. Giuseppe Betori, ormai in gran forma, dopo lo scampato pericolo e l’intervento chirurgico, ha partecipato con entusiasmo alla festa di sant’Ubaldo amato più di ogni altro patrono e festeggiato con la corsa dei Ceri.
Nella cattedrale eugubina, durante la celebrazione del pontificale, il Segretario generale della Cei ha tenuto l’omelia prendendo lo spunto da un brano sapienziale del libro del Siracide, nel quale si esalta il sommo sacerdote Simone (219-199 a. C.). Di lui si dice che “restaurò la casa di Dio, fortificò il santuario, pose le fondamenta per costruire un doppio muro che fa da contrafforte alla cinta del tempio. Sotto il suo pontificato si scavò un serbatoio per le acque, vasca così grande che sembrava un mare. Pieno di sollecitudine per evitare ogni male al suo popolo fortificò Gerusalemme contro le invasioni nemiche” (Siracide 50). Questo esempio biblico, secondo Betori, si applica bene al Patrono di Gubbio che nella sua vita ha esercitato il ministero sacerdotale tenendo desta la preoccupazione per il bene complessivo del popolo, avendo cura di rendere un servizio nello stesso tempo religioso e civile, e non esitando a sostenere la resistenza contro i nemici nel dramma dell’assedio che si concluse con un segno di croce del vescovo. Ciò è avvenuto in tempi più antichi quando i vescovi rappresentavano l’unica autorità, non solo spirituale, accreditata presso il popolo come defensor civitatis.
Anche nell’ultima guerra mondiale ci sono stati vescovi, come Beniamino Ubaldi di Gubbio che cercò di opporsi, offrendo se stesso, alla rappresaglia che fece strage di quaranta vittime innocenti o del vescovo di Assisi Placido Nicolini che si pose a difesa degli ebrei ricercati dai tedeschi nascondendoli nei conventi della città. Insomma, quello che si vuol dire è semplice: i vescovi amano il popolo e predicano, operano, si battono per il suo bene spirituale e materiale, oggi come ieri. È opportuno ricordare a molti distratti e smemorati il martirio di Oscar Romero (1980), arcivescovo di San Salvador, abbattuto dagli squadroni della morte governativi perché difendeva il popolo dai soprusi di una spietata dittatura. Per comprendere un’azione o un testo bisogna tenere bene accesi i fari per sapere dove ci troviamo, in quale contesto, con quale animo sono dettate quelle parole, il perché di tanta passione.
Chi conosce Betori, e siamo tanti in Umbria, e chi conoscer il suo passato tra i giovani del San Carlo di Foligno, i suoi studi biblici, gli anni del suo insegnamento, sa bene che nel suo animo non c’è astio verso nessuno. E tuttavia si sente impegnato a tenere desta l’attenzione all’oggi della Chiesa e della società. Si è domandato: che cosa attenta in modo particolare al bene del popolo, di questo popolo che è a Gubbio, in Umbria, in Italia, in Europa? E si è dato una risposta: il pericolo è l’abbandono dei valori e delle regole che rendono sano, giusto e felice un popolo. Per aver detto questo gli sono piovute addosso invettive feroci del tutto fuori luogo oltre che fuori misura. Si deve dire pacatamente ai coniatori di epiteti che, piaccia o non piaccia, i vescovi ritengono di dover fare tale azione educativa come una battaglia di cultura e di civiltà, svolgendo insieme la missione di pastori della Chiesa e la funzione di difensori della città, Defensores civitatis. La storia dirà.