No a ogni pena di morte

La manifestazione promossa il giorno di Pasqua da varie forze politiche, condivisa anche dalla Comunità di sant’Egidio – così hanno riferito i mass media – ha cercato di porre all’attenzione dell’opinione pubblica, e anche del Santo Padre visto che si è conclusa a piazza San Pietro all’ora dell’Angelus, l’abolizione della pena di morte. La dimostrazione, chiamata non senza una qualche malizia, ‘marcia di Pasqua’, mirava ad ottenere la ‘moratoria verso tutte le esecuzioni capitali’. Un no alla pena di morte, dunque, secco e perentorio. La sfilata, partita dal Quirinale, ha proseguito verso piazza San Pietro, dove, tra lo stupore delle migliaia di fedeli presenti, i partecipanti al corteo hanno sventolato le bandiere dei radicali, del Tricolore, e portato in piazza migliaia di palloncini bianchi su cui era disegnata una colomba con la scritta ‘Marcia di Pasqua’. Le intenzioni dei manifestanti erano certamente lodevoli ed è auspicabile che anche le Nazioni Unite raccolgano l’istanza condivisa da molte istituzioni e da vari governi nazionali. A nessuno infatti è consentito togliere il supremo bene della vita. Anche la Chiesa cattolica affronta il problema della pena di morte: ne parla il Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2267. Ne parla il Santo Padre Giovanni Paolo II al n. 56 dell’enciclica Evangelium vitae, dedicata alla difesa della vita. È, quello della vita e della morte, un tema delicatissimo, che il magistero della Chiesa affronta anche all’interno della riflessione sulla legittima difesa. Ma questa iniziativa mi fa sorgere spontanea una domanda: l’abolizione della pena di morte è richiesta per tutti gli esseri umani o solo per alcuni? Oggi sembra che una specie di schizofrenia ideologica ci faccia cadere in contraddizioni così palesi da rimanere sbigottiti. Non possiamo non notare, almeno in alcuni manifestanti, una certa incongruenza tra la battaglia a ‘difesa della vita’ e quella per la legalizzazione dell’aborto, diventato ormai legge in molti Paesi europei, ed anche in Italia, e considerato una conquista di civiltà. Con l’aborto diventato legale è lo Stato che autorizza ad uccidere un essere umano che si affaccia alla vita, un innocente che non può difendersi. È debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato. Quali e quante contraddizioni in chi mostra tanta sensibilità per la vita del reo e tanta noncuranza per la vita di un feto! Non è mia intenzione giudicare chi vive il dramma dell’aborto, anche se c’è una legge che lo consente. Per una donna rimane una tragedia ed una ferita che il tempo non rimargina mai. Anch’io, come tanti altri sacerdoti, sono stato testimone del pianto accorato di chi ha vissuto queste situazioni. Eppure si segnala che ogni giorno, in tutto il mondo, nella più assoluta normalità, vengono uccisi degli esseri innocenti, considerati ospiti non desiderati e ingombranti del consorzio umano. E da parte delle stesse società si avalla l’aborto e si reclama il diritto alla vita chiedendo l’abolizione della pena di morte. Tutto questo, è normale?

AUTORE: ' Mario Ceccobelli