Il tempo di Pasqua prosegue verso il suo compimento liturgico, con l’approssimarsi delle due solennità che ne chiuderanno il ciclo: l’Ascensione e la Pentecoste.
Un tempo pasquale che fin dalle prime comunità cristiane era vissuto come catechesi “mistagogica”, ossia come approfondimento della comprensione del Mistero celebrato; in particolare, i nuovi battezzati erano istruiti sulla grandezza del dono ricevuto. Troviamo un’eco di tutto ciò nelle collette (la preghiera recitata dal celebrante dopo il Gloria) di queste domeniche.
Alla luce di questa prospettiva credo vadano letti i Vangeli di questa e domenica e della prossima, propedeutici alla solennità dell’Ascensione. Infatti ci ritroviamo a leggere il Vangelo di Giovanni, il capitolo 14, inserito in quel contesto particolare che è l’Ultima Cena. Che senso ha ripercorrere il clima e il tenore di questi brani anticipatori della passione e morte di Gesù, in un tempo di gioia e di esultanza pasquale? È proprio alla luce della Pasqua di risurrezione che acquistano un nuovo significato.
Il Vangelo di Giovanni raccoglie nel contesto dell’Ultima Cena un lungo monologo di Gesù, introdotto da un dialogo che gli studiosi chiamano al plurale “discorsi di addio”. Tommaso e Filippo si interrogano perplessi sull’annuncio della dipartita prossima di Gesù. Il primo chiede a Gesù: “Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?” (Gv 14,5). A Tommaso Gesù risponde che Lui stesso è la risposta: “Io sono la via, la verità e la vita (v. 6). Il secondo afferma: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. A Filippo, Gesù si rivolgerà con una constatazione: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (v. 8). Un discorso di addio quindi, che si legge in una duplice prospettiva: la crocifissione di Gesù e la sua ascensione al cielo.
Acquista senso allora, lasciarci accompagnare insieme agli apostoli, dal “testamento di Gesù”, ormai in procinto di ritornare al Padre per non lasciarci più. I suoi discorsi raccolti da Giovanni nel contesto dell’Ultima Cena ci rivelano il cuore stesso di Gesù, e questo rivelarsi mostra anche la sua intimità con il Padre (Gv 14, 6-7.9-11). Il desiderio espresso da Filippo è anche l’anelito dell’umanità che cerca il volto di Dio.
Un Salmo descrive questo anelito, riponendo solo in Dio la fiducia nel momento della prova e del turbamento. Il salmista fa sgorgare dal cuore del credente un grido:
“Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi.
Di te ha detto il mio cuore: Cercate il suo volto.
Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto” (Sal 27(26),7-9).
Questo volto – inaccessibile agli uomini dell’Antica Alleanza – ora si rivela ricco di umanità nel volto di Gesù. Un volto da scrutare con quella fede implicita donata a ogni creatura che si chiama desiderio, capace di trascinare la persona fuori dal proprio egoismo. Senza la concretezza di un volto, il desiderio però rischia di rimanere vago e “vagare” senza meta.
In Gesù l’essere umano appaga il suo desiderio. Nel volto sfigurato della Passione e nel volto trasfigurato del Risorto, l’uomo incrocia lo sguardo che ha tanto cercato e che gli rivela il volto dell’amore. Dentro questo sguardo è possibile intravedere anche la dimora dove trovare pace, quella casa presso il Padre dove Gesù è andato a preparare un posto (Gv 14,1-2).
Possiamo affermare che Gesù, nel discorso di addio, prepara i discepoli anche alla sua nuova presenza dopo l’Ascensione.
La prima comunità cristiana è consapevole che quell’addio prospetta una nuova presenza del Risorto; ne è così certa che non ha più timore di annunciare la novità della Risurrezione.
La prima e la seconda lettura esprimono infatti la vitalità dell’annuncio di salvezza. In Atti 6,7 ci viene descritta l’efficacia della parola, capace di oltrepassare anche i “confini del tempio”, con la conversione di alcuni sacerdoti. Lo Spirito santo, ricevuto il giorno di Pentecoste, ha generato persone nuove capaci di annunciare la salvezza, ha aperto il cuore di tanti uomini e donne che chiedevano il battesimo. Da questa novità di vita è scaturita l’azione per essere costruttori di quella “dimora di Dio presso gli uomini” descritta nel libro dell’Apocalisse (Ap 21,3).
Una meta ultima che si realizza con la Chiesa, “Corpo di Cristo” operante nella storia, in attesa della seconda venuta del Risorto. Ogni battezzato è una pietra viva, necessaria per la costruzione della Chiesa (1Pt 2,5), ma trova la sua collocazione armonica e arricchente solo se si stringe a Cristo, pietra viva (v. 4).
Don Andrea Rossi