Giovedì prossimo, 8 marzo, sarà un tripudio di mimose in omaggio alle donne. Tra convegni e conferenze e cene per sole donne (purtroppo non solo le cene), si consumerà il rito della celebrazione per ricordare che l’obiettivo della parità tra i sessi è ancora da raggiungere. I recenti fatti di cronaca di violenza sulle donne sono lì a ricordarlo tragicamente, accanto alle statistiche che dicono che le donne sono ancora penalizzate sul lavoro, nella società, nella politica e così via. Il quadro si fa ancor più sconfortante se si guarda alle giovani che di questa festa forse colgono più il lato amicale, ma in generale vi è una certa indifferenza alle questioni delle ‘pari opportunità’ tra uomo e donna. Eppure l’Unione europea ha proclamato il 2007 ‘Anno delle pari opportunità’. Anche sul fronte ecclesiale l’attenzione data alla ‘questione femminile’ pare arenarsi ogni volta dinanzi alla barriera delle rivendicazioni che, a detta soprattutto dei pensatori non credenti, dovrebbero avere come obiettivo l’accesso delle donne al sacerdozio, ma non è questo che le donne cattoliche vogliono, almeno nella maggioranza. Oggi, però, l’introduzione nel linguaggio di un nuovo termine, ‘il genere’, ripropone la questione femminile sotto una nuova prospettiva. È da tempo, infatti, che nelle sedi politiche a tutti i livelli (dall’Onu all’Europa al comune di 100 abitanti) non si parla più di politiche per la parità tra uomini e donne, ma di politiche per la parità di genere. Eppure la parola ‘genere’ adottata in sostituzione di ‘sesso’ non è così innocente come sembra. In realtà scrivendo ‘genere’ si intende dire uomo e donna ma anche omosessuale, bisessuale, transessuale, ermafrodito e quant’altro può essere immaginato, poiché la differenza sessuale sarebbe, secondo la filosofia che l’ha generata, solo un frutto culturale e non anche un dato biologico. Scrivendo ‘genere’, ogni scelta è sullo stesso piano e ha gli stessi diritti; anzi, di più, vi è anche la tutela della libertà di scelta con percorsi riservati per evitare ogni forma di discriminazione. È quanto si legge nella proposta di legge regionale che la terza commissione del Consiglio comunale di Perugia ha approvato il 14 febbraio con il solo voto contrario di Vincenzo Carloni (Margherita) e l’astensione dei due consiglieri di opposizione Orsini Federici e Camicia. ‘Norme contro le discriminazioni determinate dall’orientamento sessuale o dalla identità di genere’ è il titolo della proposta presentata e sostenuta dalla consigliera Ds Maria Pia Serlupini, incaricata dal sindaco Locchi a seguire le Politiche delle differenze e delle pari opportunità. Va detto subito che il testo non è frutto del suo sacco. Si tratta di un fac-simile della legge, con lo stesso titolo, che la Regione Toscana ha già approvato nel novembre 2004, e di proposte di legge presentate in Piemonte, in Emilia e in Lombardia. Tutte a firma Ds e sostenute dalle associazioni gay. Obiettivo della proposta di legge: ‘La Regione garantisce il diritto all’autodeterminazione di ogni persona in ordine al proprio orientamento sessuale e alla propria identità di genere’ e per fare ciò, tra le altre cose si dice che le Usl ‘assicurano adeguati interventi di informazione, consulenza e sostegno per rimuovere gli ostacoli alla presa di cosceinza della persona circa il proprio orientamento sessuale o la propria identità di genere’, e inoltre ‘promuovono il confronto culturale sulle tematiche familiari’. Per fare ciò le Usl ‘possono stipulare convenzioni con le associazioni e i gruppi rappresentativi dei diversi orientamenti sessuali e identità di genere’. Come non pensare che i fondi sono destinati alle associazioni dei gay? Difficile immaginare, oggi, che uomini e donne che si sentono semplicemente tali possano dar vita ad associazioni per promuovere la conoscenza di ciò che per la maggioranza della popolazione è un dato della natura e della cultura del tutto normale! Tutta la proposta di legge, più che contro le discriminazioni, pare essere a favore della incentivazione delle ‘differenze di genere’, ben oltre la differenza uomo/donna. In questo panorama culturale, ripensare l’identità della donna, il suo ruolo nella società, può e deve significare ripensare l’identità dell’essere umano nel suo essere donna e uomo. Non a caso 26 anni dopo la indimenticabile lettera di Giovanni Paolo II Mulieris dignitatem la Congregazione per la dottrina della fede nel 2004 ha inviato ai vescovi una Lettera sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo. Questa lettera inizia proprio dal problema dell’identità e del genere e propone, diversamente da quanto fa pensare il titolo, una riflessione sulla ‘attualità dei valori femminili’ nella Chiesa e nella società.
La trappola celata nel “genere”
L'8 marzo si avvicina, ma non è più la donna al centro del dibattito politico
AUTORE:
Maria Rita Valli