Quanto è lontano il Paese reale

Verso il partito democratico: le riflessioni del professore Roberto Gatti dell'Università di Perugia

Dopo Cozzari, Bocci e Molè, questa settimana la Voce ha chiesto al professore universitario Roberto Gatti una riflessione sul cosiddetto partito unico e, in particolare, sulla nascita a sinistra del nuovo partito democratico. Cosa ne pensa del partito unico? ‘Al di là delle posizioni degli schieramenti politici, c’è un problema di metodo. Chi lavora oggi per il partito unico, in realtà non tiene conto delle radici storiche, politiche e culturali del nostro Paese. Infatti, nel costruire il partito unico, si rischia di fare un grande torto al tradizionale pluralismo delle culture politiche italiane. Pluralismo che non è cancellabile né con le riforme elettorali, né con gli accordi fra partiti, poiché in ballo c’è un modo tutto italiano di intendere e vivere la politica. Il partito unico rischia di essere, insomma, una semplificazione artificiale e artificiosa del quadro politico nazionale’. Però senza schieramenti compatti il Paese non si governa. Berlusconi ha governato per cinque anni e adesso tocca a Prodi”Primo: nessuno sa dire quanto Prodi sia ancora in grado di governare. Secondo: il sistema maggioritario, che avrebbe dovuto semplificare la nostra vita politica, ci ha dato risultati opposti. I governi durano un po’ più a lungo? Sì, ma a che prezzo? In realtà abbiamo governi precari, la stabilità di governo è una mera apparenza. Inoltre quella che abbiamo sperimentato con Berlusconi e questa che stiamo sperimentando con Prodi è una governabilità di tipo verticistico. Per essere governabilità autentica, occorrono saldi rapporti fra le forze politiche e col Paese, che attualmente non esistono, né ci sono stati prima di Prodi. Dobbiamo, quindi, porci il problema della qualità della governabilità. Berlusconi ha avuto problemi continui prima con la Lega, poi con Fini. Prodi è ugualmente esposto alle pressioni che provengono dalla sua composita coalizione; pensiamo solo alla manifestazione di Vicenza contro l’allargamento della base Nato o ai Dico o alle alleanze internazionali. Di certo c’è solo che la qualità della politica è evidentemente diminuita’. Allora, per lei, la sinistra e i cattolici progressisti sbagliano nel voler formare il partito democratico? ‘Credo che una politica di riforme possa essere fatta non necessariamente all’interno di una compagine unica che sacrifichi la ricchezza potenzialmente contenuta nei soggetti politici attuali. Uno strumento che forse darà un suo tornaconto elettorale, ma anche questo è tutto da provare. Inoltre un partito unico, in questo caso il partito democratico, sarebbe egemonizzato da chi ha maggiore potere contrattuale al suo interno, anche su questioni importanti quali la famiglia, la bioetica, la difesa dell’ambiente e del clima, il lavoro, ecc. Il fatto è che non possiamo più preoccuparci solamente dell’alternanza fra schieramenti politici ma dei contenuti che ogni schieramento è in grado di mettere in campo, ossia della progettualità della politica. Un quadro politico che sacrifica la complessità dei soggetti e dei luoghi della politica obbliga a cercare forme e spazi diversi di azione e di presenza. Mi chiedo: dove sfogheranno le tensioni sociali, che non trovano un momento di effettiva sintesi politica?’. Lei vede nell’attuale moderatismo della politica italiana un pericolo reale. In che senso? ‘Il problema è che siamo partiti da un equivoco fatale: il maggioritario avrebbe dovuto darci più governabilità e la maggiore governabilità avrebbe dovuto sancire l’affermazione del bipolarismo. Invece credo che i rapporti fra il Paese reale e il Paese legale non siano stati mai così freddi come oggi. Se adesso la BR uscissero con forza, ho qualche dubbio che l’Italia sia in grado di reagire in modo compatto come negli anni ’70. Il vero problema – e quindi il rischio – è che la politica oggi ha smarrito la sua funzione di mediazione, ma enfatizza i contrasti, moltiplica le divisioni del Paese. Quasi tutti i nostri attori politici stanno giocando una partita pericolosissima, sia in politica interna, sia in politica estera, sfruttando al massimo la cassa di risonanza dei media. I nostri politici sono impegnati quotidianamente in un agone che si alimenta di attacchi gratuiti e violenti nei confronti dell’avversario, fatto che esacerba ancor più l’animo della società civile, già duramente provata dai disagi economici e sociali’. E se la politica non risolve i problemi”La gente se li risolve da sola o, almeno, ci prova. Aumentano quindi le forme di fai-da te, di clientelismo e di parassitismo. Il partito unico potrebbe essere, in tale situazione, solo una delle espressioni dell’omologazione politica, che è danno serio, perché se la mediazione politica del pluralismo sociale fallisce resta una società disorientata, il che si traduce anche nel non rispetto delle istituzioni. Ecco, io temo che il partito unico possa aumentare ulteriormente lo scollamento fra la politica e la società civile, soffiando sul fuoco di una situazione già critica’. Le sembra che la Chiesa cattolica si opponga al partito unico? ‘Il fatto è che i nostri politici si appellano agli stati d’animo nell’affrontare le questioni importanti, quelle decisive per un Paese. Il vuoto di mediazione della politica viene assunto da altri soggetti. Oggi la Chiesa fa politica in maniera proporzionale al vuoto lasciato dalle forze politiche e, in tal senso, il documento promesso sui DICO e vincolante per i politici cattolici sarebbe un vero atto politico. Tra gli anni ’70 e ’90 i sindacati colmarono il vuoto della politica, oggi è la Chiesa ad occuparsi di temi ‘caldi’. Se nessuno fa sintesi, allora nel sistema o ai margini di esso irrompono nuove soggettività, che provano a svolgere chiare funzioni di supplenza. Ma ciò stravolge ancora di più il corretto rapporto fra i poteri’. E che dovrebbero fare i cattolici impegnati in politica? ‘In primo luogo, essere consapevoli che se la Chiesa si fa partito politico, il tasso di secolarizzazione cresce automaticamente. Cosa che non è certo un bene. Ci potrebbe essere uno spazio di articolazione politica delle varie forme del cattolicesimo politico. Però, per fare ciò, ci vuole uno spazio: ma il partito unico schiaccia le identità, per sua natura. Così finisce che sia nel centro destra, sia nel centro sinistra i cattolici possono parlare solo a livello di testimonianza individuale. Fra gli stessi cattolici non ci sono molti politici pronti ad andare controcorrente, anzi. Nella Margherita o nell’UDC non si articolano nuovi progetti politici, degni di questo nome, come se la politica dei cattolici avesse il fiato troppo corto per trovare proposte progettuali serie sul disagio sociale, sulla famiglia, sull’invivibilità delle città, sui pericoli per l’ambiente, sulla bioetica e sul ruolo della religione nella società’.

AUTORE: Paolo Giovannelli