In questi tempi così difficili, molti concittadini esprimono sentimenti di sconcerto, a volte di delusione, perfino di rancore, nei confronti di questo Stato che non ci protegge abbastanza – per disorganizzazione o incapacità o avarizia – e ci lascia esposti al pericolo di morte o, se va bene, alla rovina economica. Insomma, lo Stato (inteso come apparato pubblico, comprensivo anche dei poteri locali) non tiene fede alle promesse. Non voglio certo minimizzare le ragioni del malcontento.
Tuttavia vorrei ricordare a chi protesta che, se possiamo fare queste rivendicazioni, è perché abbiamo la fortuna di vivere in un’epoca – dalla metà del Novecento in poi – e in un pezzo di mondo – l’Europa occidentale – dove lo Stato si è assunto il compito di rispondere ai bisogni individuali di tutti i cittadini e di garantire loro il benessere “dalla culla alla tomba”. E ha proclamato che questo è, per il singolo, un diritto; sacrosanto come il diritto dell’operaio di essere pagato per il suo lavoro.
Chi si sente deluso ha la sua parte di ragione.
Ma si dovrebbe essere consapevoli che, in precedenza, mai nella storia dell’umanità gli Stati si erano accollati questi doveri. E che anche ai nostri giorni le regole non sono queste in altre parti del mondo, per esempio nei ricchi Stati Uniti, mica solo nei poverissimi Paesi dell’Africa subsahariana.
Si dovrebbe anche essere consapevoli che questi impegni che lo Stato ha così solennemente sottoscritto valgono solo fino a che avrà i mezzi per onorarli. Così come un padre di famiglia può impegnarsi a dare ai figli tutto ciò di cui hanno bisogno. Con tutta la buona volontà non potrà dare ciò che non ha.
Le promesse dello “Stato del benessere” sono fatte in un momento in cui sembrava che la ricchezza collettiva fosse acquisita per sempre, e che avrebbe continuato a crescere all’infinito. Purtroppo non era vero. Del resto, quella ricchezza c’era (c’è) solo in alcuni Paesi del mondo, e questa disparità non può durare in eterno.
Quando si dice che, quando – se Dio vorrà – verremo fuori da questa emergenza, dovremo imparare a vivere in un modo diverso, si intende anche questo.
Pier Giorgio Lignani