CORONAVIRUS. Dopo il nobile gesto dell’Albania

Gli albanesi non dimenticano.
I tedeschi, a quanto pare, sì.

Non si tratta di fare classifiche di ‘buoni’ e ‘cattivi’, ma di valutare comportamenti per programmare meglio, e con maggiore acume, il futuro. L’attuale leader dell’Albania, che invia in Italia 30 tra medici e infermieri sulla “linea del fuoco” dell’ospedale di Brescia, spiega la sua decisione. Il suo è un Paese “povero, ma che non dimentica” quanto fatto dall’Italia all’inizio degli anni Novanta, con l’operazione ‘Pellicano’, per aiutare un Paese che usciva povero e lacerato da una lunga e devastante dittatura di stampo comunista.

Il discorso fatto dal leader Edi Rama, nella breve cerimonia che ha accompagnato la partenza del personale sanitario albanese, condiviso da tutte le forze politiche italiane. Che magari potrebbero trarre spunto non soltanto per la scelta della parole, davvero calibrate e incisive, ma anche e soprattutto per la passione che dovrebbe guidare l’operato di chi ha in mano le sorti dell’opinione pubblica. Qui risulta quanto meno superfluo distinguere tra maggioranza e opposizione.

L’emergenza non ha confini

Se si continuasse a ragionare con il criterio della contrapposizione aprioristica, si commetterebbe lo stesso errore che sta ispirando le nazioni del Nord come Olanda, Austria e Finlandia, con in testa la Germania di Angela Merkel. Non sono infatti bastati i richiami di personalità come lo stesso Papa Francesco e del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per far comprendere che la pandemia deve spingerci, tutti, a cambiare le chiavi di lettura e di comportamento.
Perché è, nel contempo, emergenza sanitaria ed economica; che non conosce frontiere e confini. E purtroppo colpirà in modo indiscriminato in ogni zona del pianeta.

“Nessuno si salva da solo” hanno ripetuto il Pontefice e il Capo dello Stato. Questo vale sia per la salute sia per la produzione, il lavoro, la tenuta sociale. Pare che questi autorevoli richiami a fare fronte comune non siano stati ben compresi da chi, in un primo tempo a livello europeo, ha tentato di trattare l’epidemia in Italia come un caso isolato.

Un segnale di consapevolezza, in verità, dopo le prime titubanze, lo ha mandato la Banca centrale europea. La Banca ha stanziato un cifra consistente per assorbire il necessario debito che l’Italia. Dovrà impegnarsi ad affrontare per resistere ai colpi devastanti del virus sul tessuto economico.

Ma su un’assunzione di responsabilità collettiva, sul piano finanziario, degli oneri di quella che dovrà essere una vera ricostruzione, con tratti post-bellici, delle singole economie, la Germania e gli altri suoi accoliti nordici hanno preso tempo. Molto per l’atavica loro prevenzione verso l’approccio – a loro dire – da ‘cicale’ dei Paesi mediterranei sull’equilibrio finanziario interno. Molto anche per una connaturata loro inclinazione ad anteporre le ragioni del portafoglio a quelle del cuore.

Il “Non italiano”

Non sembra aver fatto breccia neanche l’intervento di quel Mario Draghi che, da presidente della Bce, salvò la moneta unica europea acquistando per anni titoli di credito dei singoli Stati membri dell’Unione. Draghi colui che gli americani definivano Unitalian, il ‘Non italiano’, per il suo approccio poco passionale ma molto diretto ai problemi economici. Draghi non ha usato giri di parole: “Bisogna agire subito, perché questa è una guerra. Va data liquidità nel sistema, senza preoccuparsi del debito pubblico. Perché la recessione post-pandemia sarà profonda e rischia di essere la tomba dell’Europa”.

Una responsabilità, quella di far affondare il progetto di Unione europea, che peserà tutta sulle spalle di chi, sottraendosi a una solidarietà probabilmente fuori dalle sue corde etiche, dimostra di non possedere la preveggenza necessaria per progettare un futuro in cui nessuno – non soltanto l’Italia – potrà salvarsi da solo.

Eppure la Germania si dovrebbe ricordare del 1953. Ben 20 creditori stranieri (tra cui la Grecia) per aiutarla a uscire dalle macerie della guerra le cancellarono il 46% del debito pre-bellico e il 52 di quello post-bellico. “La Storia non ha nascondigli, la Storia non passa la mano” recita un verso di una canzone di De Gregori. Viene il tempo, sempre, in cui per le proprie scelte si devono fare i conti con la Storia. Per ora, i conti vanno fatti con il contagio.

Daris Giancarlini