Siamo alla seconda tappa del nostro cammino verso la Pasqua segnato dalle grandi icone evangeliche in cui Gesù si identifica con i “simboli” battesimali. Proveniamo dalla domenica in cui ci siamo dissetati all’acqua viva: “Chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno” ( Gv 4,14); questa domenica veniamo illuminati da Cristo luce del mondo (v. 5); domenica prossima Lazzaro attesterà che Cristo è la risurrezione e la vita ( Gv 11,25).
Un cammino che ci accompagna alla riscoperta del nostro battesimo e accompagna coloro che nella Veglia pasquale risorgeranno a vita nuova, immersi nell’acqua che illumina e dà vita. Questa quarta domenica rappresenta anche una particolarità nel percorso quaresimale; è chiamata “domenica in Laetare ”, ossia domenica della gioia. Il termine è mutuato dall’antifona d’ingresso della celebrazione eucaristica: “Rallègrati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, riunitevi. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione”. Il motivo della gioia e dell’esultanza – ricorda la Colletta pasquale – è l’approssimarsi della Pasqua, verso la quale siamo chiamati a camminare con fede viva.
Tempo di digiuno eucaristico
Ma come gioire in tempo di deserto liturgico, di “digiuno eucaristico” del popolo di Dio? Con la memoria grata per l’abbondanza della grazia celebrata e vissuta nel tempo. Una memoria che irrora di speranza l’attuale deserto, dove “lo Spirito ci ha condotti”, un deserto che però continua a essere irrigato e fiorirà a tempo debito.
Viviamo bene anche questo tempo senza cercare “colpevoli”, come ci indica il Vangelo di questo domenica. Gesù, infatti, supera la visione della malattia come conseguenza del peccato. I discepoli stessi lo interrogano proprio su questo, e chiedono conto a Gesù della condizione di quell’uomo che sulla strada sta chiedendo l’elemosina ( Gv 9,1-2).
Il luogo della vita, ogni condizione della vita è accompagnata dalla presenza di Cristo, e spesso le situazioni di precarietà appaiono luoghi privilegiati della manifestazione del Signore, infatti Gesù completa l’insegnamento ai discepoli dicendo che quest’uomo è cieco “perché in lui siano manifestate le opere di Dio” (v. 3). Ritroveremo un’affermazione simile nel Vangelo di domenica prossima, nel dialogo tra i discepoli e Gesù di fronte alla malattia di Lazzaro: “Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato” ( Gv 11,4).
Il farisei non “vedono”, ma il cieco sì…
Mentre accompagna la fatica dei discepoli con il suo insegnamento, Gesù è tuttavia costretto dall’incredulità di giudei, farisei, scribi e dottori della Legge a emettere una delle sentenze più dure nei loro confronti: “È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano, e quelli che vedono diventino ciechi” (v. 39). La Luce che illumina i cechi rende cieco chi ha la pretesa di vedere con le proprie le lenti distorte dalla durezza di cuore. Il cieco nato si lascia illuminare da Gesù, “vera luce del mondo” ( Gv 1,9) e “alla sua luce vede la Luce” ( Sal 36,10).
Il cammino di “illuminazione” del cieco nato coincide con un cammino nella fede, che lo porta a riconoscere Gesù come il Figlio dell’uomo fino alla prostrazione adorante ( Gv 9,35-38). Un percorso reso possibile dalla grazia che viene dall’alto e dall’umiltà che lo solleva dal buio e dal fango della vita, lavata dall’acqua della piscina di Siloe (v. 7). Mentre la luce si fa largo nelle tenebre del cieco, la stessa luce getta nella tenebre quanti si sono certi della loro “indiscutibile” capacità di vedere. Costoro non riescono a vedere nemmeno la realtà dei fatti: il cieco per ben due volte ha dovuto spiegare loro l’accaduto (vv. 15.26-27)!
La mancanza di fede sembra distorcere anche la capacità fisica di vedere la realtà. Il vedere nel Vangelo di Giovanni non è solo uno dei cinque sensi, ma è la capacità di guardare la realtà con gli occhi della fede, ecco perché Gesù chiama ciechi e guide cieche i suoi oppositori ( Mt 15,14).
Il desiderio di Lui è già comunione con Lui
La fede in questo nostro tempo è messa alla prova, ma proprio nella prova il Signore si fa presente con la sua consolazione. Mi è molto di aiuto in questo tempo la parola di un’anziana che, inferma sul suo letto, un po’ addormentata, alla domanda se intendeva fare la comunione, disse: “Sì, non aspettavo che questo momento, la desideravo come un cieco desidera la luce”. Una stupenda sintesi della nostra fede: il desiderio di Lui è già comunione con Lui.
Don Andrea Rossi