Come tutti i mesi, se n’è andato in un batter d’occhio anche il primo mese del nuovo anno. ‘Primo’, ‘nuovo’, aggettivi che odoravano di novità quattro settimane or sono, e già sanno di muffa. Parlando del tempo, sembra che noi uomini ‘normali’ non riusciamo ad andare oltre la scontatissima esclamazione rituale: ‘Mamma mia!, come passa veloce!!’. Pare ieri. Su di me l’avvento di ogni fine e di ogni inizio esercitano un fascino particolare, mi iniettano una specie di malinconia sottile; e m’infastidisce un po’ la festa che in genere li accompagna. Per carità, anche io e i miei l’ultimo dell’anno abbiamo fatto i botti dovuti, con la dovuta devozione e il sorriso in faccia, ma piccolo e provvisorio; un po’ in disparte, io ancora una volta mi sono interrogato se quello fosse davvero il modo migliore per festeggiare chi va e chi viene. Il tempo merita ben altra considerazione. Ben altra considerazione ha avuto il tempo nel pensiero dei nostri grandi. ‘Numerus motus secondum prius et posterius’, così l’aveva definito Aristotele, tradotto dagli Scolastici. Una definizione vera ma arida, proprio come quella di Dio come ‘Essere perfettissimo, creatore e signore del cielo e della terra’: cosa accomuni questa larva al Dio della Bibbia, sanguigno, patetico, ‘folle’ (S. Paolo), cos’abbiano in comune queste due identità’ solo Dio lo sa. Ben altra considerazione il tempo aveva avuto nel pensiero di sant’Antonio abate, che, ad onta della sua oleografia tutta agreste (il ‘Santo con il porcello e il campano’) s’impose nella storia cristiana, oltre che come santo e grandissimo leader religioso, anche come teologo. La storia del porcello nacque molti secoli dopo, quando i monaci Antoniani, una congregazione religiosa che con il grande padre del monachesimo aveva ben poco da fare, ottennero, non so dove e non so da chi, il privilegio di mandare a zonzo nelle terre del demanio quegli sporcaccioni dei maiali di loro proprietà, a patto che portassero al collo (i maiali) un campano destinato ad avvisare della loro presenza. Bene. Proprio sul tempo sant’Antonio fece aggio quando, secondo gli ‘Apoftegmi dei Padri del deserto’, dovette definire il monaco, quella nuova figura di seguace di Cristo che ebbe tanta fortuna grazie a lui e grazie alla sua famosa ‘tripartizione della giornata’ (8 ore per la preghiera e lo studio, 8 ore per il lavoro, 8 ore per i pasti, il sonno e la cura della propria persona). ‘Il monaco – scrive Antonio – è colui che con la forza di Dio domina il tempo’. Evidentemente egli aveva intuito che uno tra i massimi problemi dell’uomo è quello del suo rapporto con il tempo, con il relativo pericolo di esserne dominato invece che dominarlo. Se non lo domini tu, il tempo, sarà lui a dominarti. Essiccando la tua vita con l’accidia dei giorni che scivolano via insensati, o infartuandola con l’extrasistole dei giorni troppo pieni di cose troppo vuote.
Dominare il tempo
AUTORE:
Angelo M. Fanucci