L’anno liturgico, oltre a essere la celebrazione del Mistero pasquale manifestato nella Pasqua settimanale della domenica, è anche una lectio continua sulla Parola di Dio. Il Vangelo proclamato nella liturgia interpreta l’intera storia della salvezza, tramite un “esegeta” d’eccezione: Gesù Cristo, “colui che dà origine alla nostra fede e la porta a compimento” (Eb 12,2). L’incontro domenicale si configura come una vera catechesi per la nostra vita, un percorso di grazia che in queste domeniche è particolarmente evidente.
“Siate perfetti…”
Il Discorso della montagna, iniziato con le Beatitudini, si conclude questa domenica con un’affermazione inaudita: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). È interessante cogliere il passaggio che Gesù ci propone: passare dalla prima Rivelazione, che ha dato origine alla prima Alleanza con il popolo d’Israele, alla seconda e definitiva Alleanza, di natura universale, che non cancella ma dà compimento.
Il Signore attua la sua pedagogia divina con una prossimità che non “violenta” la capacità di accogliere la Sua grandezza. Egli accompagna la comprensione della inaudita rivelazione del suo mistero a un popolo che si è scelto perché “il più piccolo”, attraverso profeti e mediatori, con gesti e parole comprensibili dentro quel contesto, in quel tempo, a quelle persone.
Quella che gli studiosi chiamano “economia della salvezza” è un vero cammino di comprensione di quel mistero descritto domenica scorsa nella seconda lettura: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate coloro che lo amano”.
Tale progressione della comprensione si esplicita proprio nella successione della storia fino alla pienezza raggiunta in Gesù Cristo, culmine della rivelazione. Ecco perché Gesù afferma: “Vi è stato detto… Ma io vi dico…”.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal Libro del Levitico 19,1-2.17-18SALMO RESPONSORIALE
Salmo 102 (103)SECONDA LETTURA
I Lettera di San Paolo ai Corinzi 3,16-23
Figli dello stesso Padre
Queste domeniche, ascoltando questa parola, noi cogliamo l’essenziale della novità di Cristo. Se il “ma io vi dico” pone un limite a quanto proposto dalla “pedagogia divina” fino a Cristo, il successivo percorso non ha confini, né geografici né storici né tantomeno umani. Il riferimento è l’uomo nuovo Gesù Cristo, perché, come lui, apparteniamo allo stesso Padre (1Cor 3,21-23) e abbiamo la medesima meta: “Voi dunque siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48).
La liturgia odierna orienta la comprensione di “perfezione” non in senso morale o, peggio, moralistico, ma di pienezza e di realizzazione del progetto di Dio, le cui radici le troviamo già nella legge di santità descritta nel libro del Levitico: “Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio sono santo” (Lv 19,2), un testo quello del Levitico che ripresenta il Decalogo di Esodo 20, con ulteriori specificazioni e ad uso morale e cultuale.
Le antitesi della domenica precedente e di quella odierna evidenziano un parallelismo, e nello stesso tempo un superamento. “Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20).
Giustizia umana e giustizia divina
Superare la giustizia umana-religiosa per abbracciare quella divina! Così si potrebbero sintetizzare le sei antitesi di queste due domeniche. L’orizzonte sconfinato della misericordia di Dio non cancella i presupposti di giustizia della Legge espressa nei Comandamenti, e potremmo dire che non si sostituisce nemmeno alle esigenze della giustizia civile, ma conferma la fiducia di Dio in un’umanità redenta, capace di riorientare la propria vita al bene.
L’immagine che portiamo impressa di Dio nel nostro cuore può essere concepita come il “Dna della santità” in noi, che il virus del peccato non può cancellare – a meno di una ferrea volontà orientata al male, che rifiuta ogni perdono. Per questo c’è speranza, e il Signore è il primo a fidarsi della sua creatura.
Iperboli d’amore
Le “iperboli” che Gesù usa sono il tentativo dialettico di farci comprendere il cuore del messaggio d’amore del Padre, esplicitato attraverso alcune narrazioni riassunte nelle parabole della misericordia: la pecora perduta (Lc 15,1-79), la dramma perduta (Lc 15,8-10) e, in particolare, il padre misericordioso (Lc 15,11-32).
Un amore sconfinato che non ha più riferimenti geografici riferiti a un popolo, quello d’Israele, ma l’umanità intera, come ci ricorda la parabola del buon samaritano (Lc 10,29-37).
Nessuno è straniero nella “patria della fede”, anzi, la fede ci spinge a riconoscere in ogni essere umano la scintilla di Dio, anche se non esplicitata nella professione della fede. Se apriamo gli occhi, scorgiamo uomini e donne “delle beatitudini”, che vivono le esigenze del Vangelo espresse nelle opere di misericordia, anche se si dicono non credenti.
Don Andrea Rossi