La liturgia della notte di Natale io ci ho sempre tenuto a viverla nella mia comunità, fin da quel 1974, quando spostammo le nostre tende da Fabriano (dove la Comunità era nata nel 1971, con il nome di ‘La Buona Novella’) a Gubbio, sul monte Ansciano, nel lindo conventino dove prese il nome di ‘Centro lavoro cultura’. La vita con (più che per) i meno fortunati voleva diventare cultura, riflessione sulle proprie radici, emersione dei criteri di coltivazione della propria umanità. Ma quello del 2006 era un Natale speciale, a 40 anni dal Natale del 1966, carico delle speranza della Nuova Frontiera, odoroso di Concilio. Quel giorno, alla periferia di Capodarco, aveva aperto i battenti la Comunità di Capodarco. Io non c’ero, ma c’era anche la mia tra le spore che durante quell’inverno si depositarono, in attesa della primavera, sulla collina a fianco della strada che scende da Fermo a Porto San Giorgio. Lì, nel vecchio stabile campagnolo, segnato dalle ferite che un’invisibile frana del terreno allargava ogni giorno, si insediò quel 25 dicembre don Franco Monterubbianesi, con un manipolo di incoscienti; molti in carrozzina, gli altri chi pendeva a destra, chi a’sinistra, chi da ambedue i lati; erano quei 15 che avevano assecondato la sua lucida follia, un anno e mezzo prima, nel giugno del 1965, quando sul Treno Bianco che tornava da Lourdes lui aveva lanciato loro il suo appello: ‘Andiamo a vivere insieme, dimostriamo’che la vita è ancora piena in noi!!’. Basta con la rassegnazione! Il vagito di Betlemme sembra un lamento infantile, in realtà è un comando: da quando io sono con voi, basta con la rassegnazione!! La rassegnazione ha senso solo come risvolto negativo della forza. Per quanto esse siano dolorose e profonde, ogni ripiegamento sulle proprie ferite è inaccettabile. E se alla morte, con i suoi mille tentacoli, Dio ha permesso di afferrare e soffocare una qualche parte della nostra vita, un arto, una funzione, una qualche rotella strategicamente importante, è stato solo perché quei tentacoli li rescindessimo a suo tempo con un colpo di accetta, e dal sangue tornasse a sgorgare la vita, a fiotti’ Ricordando quei fatti, la notte di Natale ho detto, press’a poco, che Gesù anche oggi ha bisogno di un volto, per essere davvero come noi; il suo, quello di allora, non siamo in grado di ricostruirlo; ma se dovessimo dargliene uno, oggi, a chi pensereste? E subito si è materializzato il volto di Piergiorgio Welby. A televisione spenta, se Dio vuole. Era morto da poco. Eutanasia? Fine dell’accanimento terapeutico? Se n’era appena andato, galleggiando su di un fiume immenso, di pensieri sofferti e di chiacchiere indegne. Anche noi abbiamo detto la nostra. Abbiamo detto: fosse vissuto con noi, nella nostra comunità sbilenca, ma viva soprattutto grazie ai ‘casi’ come lui, non gli sarebbe passata per la testa la tentazione di morire. Presuntuosi? Può darsi. Vedremo. Vedrete.
Lui e Welby
AUTORE:
Angelo M. Fanucci