Se quello cristiano è un “culto in spirito e verità” (come insegna Gesù stesso), perché la liturgia esige tutta una serie di azioni fisiche?
Pur nella consapevolezza che parlare del “celebrare” della Chiesa non si esaurisce con una riflessione sintetica sui sacramenti e sui sacramentali, nei prossimi numeri riprendiamo il discorso sulla celebrazione eucaristica, visto che tutta la liturgia in qualche maniera qui converge.
Cercheremo di conoscere meglio quei gesti e quegli atteggiamenti del corpo che nella celebrazione sono richiesti ai ministri ordinati, come anche ai fedeli che semplicemente partecipano o che siano incaricati di un particolare ministero liturgico. Iniziamo quindi questa nostra riflessione dalle motivazioni che offre l’ Ordinamento generale del Messale romano per comprendere il senso di ciò che compiamo come popolo di Dio nella celebrazione.
Al numero 42 leggiamo che “i gesti e l’atteggiamento del corpo sia del sacerdote, del diacono e dei ministri, sia del popolo devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti i fedeli”.
Tre motivi dunque giustificano lo stare in piedi, stare seduti, inginocchiarsi, inchinarsi, genuflettersi, ecc.: decoro e semplicità della celebrazione, comprensione del senso di ciò che si sta celebrando, partecipazione attiva di tutti i fedeli.
A queste motivazioni va premesso un dato non trascurabile, dal quale trovano origine in certa misura le altre istanze elencate, e cioè che si celebra con il corpo perché soggetto della celebrazione è tutta la persona nella sua unità non divisibile.
Nella liturgia infatti esteriore e interiore, corpo e spirito, forma e contenuto, divino e umano si intrecciano in una splendida armonia, per cui una nota non riprodotta o una corda non accordata può ledere la bellezza di tutto il componimento.
Da qui l’istanza della “partecipazione”, che non è riducibile solo al fatto di avere un gran numero di fedeli che compiono un servizio liturgico, bensì anzitutto al fatto che la celebrazione coinvolge tutti e ciascun fedele nella totalità del proprio essere.
Come conseguenza naturale di questa primaria prospettiva troviamo un ulteriore motivo rispetto all’importanza di compiere gesti e avere atteggiamenti ognuno i propri secondo quanto chiesto dalla celebrazione – e cioè che il battezzato è inserito ed è membro di un Corpo, quello di Cristo, che è la Chiesa. E queste membra che celebrano insieme denotano una caratteristica fondamentale della liturgia: essere preghiera comunitaria e celebrazione del Christus totus , di Cristo e le sue membra.
Per questo la Sacrosanctum Concilium afferma: “Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è sacramento dell’unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò tali azioni appartengono all’intero Corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano” (n. 26).
Don Francesco Verzini