“Io ho progetti di pace e non di sventura, voi mi invocherete e io vi esaudirò”, annuncia l’Antifona d’ingresso anticipando il messaggio luminoso anziché tenebroso come potrebbe risultare ad un ascolto superficiale della liturgia della Parola di questa XXXIII domenica del Tempo ordinario.
Prima lettura
La prima lettura tratta dal libro del profeta Malachia parla infatti di “superbi” che verranno resi come “paglia”, bruciati, privi di “radice” e di “germoglio”. Malachia riflette il clima del suo tempo caratterizzato da apatia e da disinteresse e sfiducia nei riguardi del divino. Probabilmente la sua attività viene esercitata tra il periodo della ricostruzione del tempio (515) e quello della riforma di Esdra e Neemia, una fase in cui l’entusiasmo del ‘ritorno’ aveva ceduto il passo all’appiattimento morale e religioso.
Soprattutto viene messa in discussione la logica retributiva, come se Dio non tenesse conto delle azioni degli uomini e delle loro conseguenze. Ma il Signore tramite Malachia addita agli scettici il ‘giorno del giudizio’ che tuttavia per quanti temono il suo nome non sarà di sventura perché per essi “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”.
Salmo
Anche il Salmo responsoriale (97) ci presenta il Signore in qualità di giudice. La liturgia ci propone l’ascolto degli ultimi versetti, là dove il salmista menziona gli strumenti utilizzati per la lode tributata nel tempio (cetra, strumenti a corde, tromba, corno) abbinandoli alla vivace festa che la natura fa “davanti al re che viene a giudicare la terra”.
Parla di mare che risuona, di fiumi che battono le mani, di montagne che esultano, insomma gli elementi della natura si ‘umanizzano’ e producono una lode cosmica che esalta il Signore il cui giudizio dei popoli è giusto e retto.
LA PAROLA della Domenica
PRIMA LETTURA
Dal libro del profeta Malachia 3,19-20aSALMO RESPONSORIALE
Salmo 97SECONDA LETTURA
Dalla II lettera di Paolo ai tessalonicesi 3,7-12VANGELO
Vangelo di Luca 21,5-19
Seconda lettura
La seconda Lettera di san Paolo ai Tessalonicesi affronta una questione un po’ delicata cui l’autore cerca di riparare con paterna ed autorevole direzione. Si è infatti resa nota la vita disordinata che alcuni membri della comunità conducono consistente nella trascuratezza degli impegni lavorativi e nella perdita di tempo in attività inutili.
Mentre in altri ambiti della stessa Lettera questa devianza è dovuta alla convinzione dell’imminenza del ‘giorno del Signore’ per cui è vano darsi da fare, in questo caso è da attribuire ad un vero e proprio stato di pigrizia che ha coinvolto anche alcuni credenti e che turba la convivenza civile e religiosa. L’apostolo interviene intimando ai lettori di vivere onestamente, abbandonando agitazioni e allarmismi e soprattutto di “guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità”.
Vangelo
La pagina del Vangelo secondo Luca è tratta dal cap. 21, capitolo immediatamente precedente quello del racconto della Passione. Gesù si trova infatti nel Tempio e tiene l’ultimo discorso pubblico che questa volta verte intorno ai tempi escatologici. Il pretesto è proprio il tempio, “ornato di belle pietre”, ma per il quale Gesù ‘annuncia’ la fine imminente verificatasi poi nel 70 d.C. ad opera del (futuro imperatore) Tito Flavio Vespasiano.
Alla domanda posta da alcuni “quando?”, Gesù risponde elencando alcuni segni, ma soprattutto proponendo un atteggiamento da osservare: stare in guardia dai falsi maestri!
Al tempo di Gesù si presentavano di tanto in tanto sedicenti messia che trasmettevano timore e ansia tra il popolo annunciando l’arrivo della fine del mondo. Eventi come guerre o carestie potevano essere interpretati come conferma delle funeste profezie. Anche Gesù si rifà al linguaggio apocalittico annunciando sconvolgenti fenomeni celesti, ma lo scopo del suo insegnamento non è quello di incutere paura ma di assicurare che il corso degli eventi naturali e sociali, è nelle mani di Dio.
Nel seguito del testo il messaggio si fa più evidente. Gesù parla esplicitamente di “sinagoghe”, di “re e governanti”, di difese nei “tribunali”, di persecuzioni non solo dall’esterno ma anche all’interno della comunità e delle famiglie. Ma sta proprio qui la chiave di tutto! Come è nello stile di Gesù, le situazioni si rovesciano: ciò che apparentemente segna la sconfitta, la fine di tutto, si trasforma in fecondità e nascita!
In questo contesto tribolato, la perseveranza nella fede letteralmente- “guadagna” le vite: è quanto la storia del cristianesimo ha poi costatato, ovvero che “il sangue dei martiri è il seme dei cristiani” (Tertulliano). La perseveranza del credente, specie nel momento della prova, produce una testimonianza di inaudita fecondità spirituale.
La pagina del Vangelo ci chiede di non pensare solo a noi stessi ma di dare una coerente testimonianza di fede che giova anche a chi ci osserva certi che anche il più minimo atto che offriamo per amore ha un valore infinito perché è la parola di Gesù ad assicurarcelo: “nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto”.
Giuseppina Bruscolotti