Elezioni. Una stra-vittoria in cui però spicca l’assenza di cattolici “riconosciuti”

La vittoria della destra in Umbria è stata netta, strabordante e annunciata, sia per il logoramento che negli anni ha subìto il Pd (già nelle precedenti elezioni regionali la sinistra aveva vinto per un soffio, e in questi anni ha perso i Comuni più grandi), sia per le conseguenze dell’enorme scandalo della sanità, che ha fatto cadere la giunta Marini.

L’alleanza con i cinquestelle non poteva funzionare, visto che sono stati loro a far saltare la Giunta rossa, e i 5S si sono alleati con gli stessi che avevano – letteralmente – appena mandato in galera. D’altra parte, il loro candidato, Bianconi, non viene certo dalla storia della sinistra. Anche Franco Bechis, mentre commentava i risultati, ha riferito quanto si diceva già in Regione, e cioè che neppure tanti “notabili” del Pd, sostenitori della Giunta precedente, hanno fatto campagna.

Una svolta storica, quindi, anche se l’emozione della conquista del Comune di Perugia cinque anni fa è stata più forte perché inattesa, mentre adesso tutti eravamo consapevoli dell’aria del cambio di guardia, e quindi la vittoria ce la siamo goduta ma ce la aspettavamo.

In questi ultimi anni i Comuni rossi sono caduti uno dopo l’altro, e devo dire che dà una certa soddisfazione vedere Gubbio con la Lega al 32%, quando fino a qualche tempo fa facevano il ballottaggio fra Pd e Rifondazione comunista. C’è però un altro cambiamento, già visto a livello nazionale e replicato localmente, su cui è necessario fare una riflessione: il voto cattolico.

Va riconosciuto che fra gli eletti nelle liste della destra non ci sono cattolici caratterizzati dall’appartenenza a movimenti e associazioni, diciamo pure i cattolici riconosciuti o militanti. Eppure c’erano nomi noti, anche di bravi consiglieri uscenti che in questi anni ci hanno messo faccia e impegno. Si sono piazzati, ma non sono stati eletti.

Sicuramente ci sono cattolici fra gli eletti, a cominciare dalla neo-presidente Tesei, ma hanno preso voti in quanto leghisti o di altri partiti, non in quanto cattolici.

Sintetizzando: i cattolici che si impegnano in politica caratterizzati come cattolici, prima che politici di un partito, non sono stati eletti. Sono stati invece eletti candidati impegnati in politica che personalmente possono essere credenti, ma che non si sono presentati caratterizzandosi innanzitutto come cattolici.

Cioè, con uno slogan potremmo dire: non sono stati eletti cattolici innanzitutto perché tali, ma politici incidentalmente anche cattolici.

L’ unico politico riconosciuto in ambito cattolico è stato eletto in una lista civica della neo-minoranza di sinistra. Quelli candidati con la destra, no.

Va quindi onestamente riconosciuto che i “valori non negoziabili” – vita, famiglia e libertà di educazione – non creano consenso, non portano voti, non danno il valore aggiunto per essere eletti, come invece succedeva nel periodo del card. Ruini, e comunque fino a qualche anno fa. E che le piazze e le sale in Umbria le hanno riempite sempre Salvini e la Meloni (Berlusconi in seconda battuta), e non chi li ha invitati.

Il risultato umbro mostra quindi un paradosso: sono stati Salvini e Meloni a parlare di crocifisso e famiglia, attirando elettori cattolici, e non hanno avuto bisogno di far eleggere cattolici riconosciuti dal mondo dell’associazionismo e dei movimenti. D’altra parte, se in una stravittoria come questa – quasi il 40% alla Lega, e quasi il 60% al presidente della destra – non ci sono cattolici riconosciuti fra gli eletti, significa che l’impegno personale pubblico dei cattolici non ha peso politico, è cioè diventato irrilevante a fini politici.

Questo fa anche capire perché i “tratti” cattolici sono visti in senso identitario dai politici della destra per sottolineare un orientamento conservatore dei loro partiti, ma non si traducono mai in reali battaglie politiche. Basti pensare alla mancata discussione parlamentare sul suicidio assistito, che avrebbe potuto bloccare la Corte costituzionale, o al silenzio calato sulla triptorelina, il farmaco somministrato gratuitamente per bloccare la pubertà ai ragazzini con disforia di genere.

Un provvedimento amministrativo che un politico di governo avrebbe potuto facilmente fermare: nessun politico, invece, ha fatto qualcosa di concreto per stopparlo o per cercare di tornare indietro.

D’altra parte, per guadagnare consenso si deve fare altro.

Tutto questo ha bisogno di una riflessione. Cosa è successo? Cosa è cambiato? Cosa si è sbagliato? E soprattutto: è finita un’epoca. Che significa adesso essere cattolici in politica?

Intanto vedremo all’opera la nuova Giunta in Umbria.

Assuntina Morresi