di Francesco Bonini
In fin dei conti ancora una volta il più efficace è stato il presidente della Repubblica. Intervenendo al Consiglio Superiore della Magistratura il 21 giugno ha espresso con chiarezza due concetti a proposito dell’ennesimo pasticciaccio politico – giudiziario che ha investito il nostro sistema, ovvero un traffico di influenze per la nomina ad alcuni posti chiave dell’ordinamento giudiziario italiano, in un quadro di inchieste pendenti tanto su magistrati che su politici.
Ha detto parole di ferma denuncia da un lato e dall’altro ha confermato che il sistema istituzionale della Repubblica contiene in sé gli anticorpi per reagire ad un tasso di malaffare comunque preoccupante.
Vedremo nel merito, come sempre, gli sviluppi giudiziari delle posizioni dei singoli. Ma si possono fin d’ora sottolineare due questioni più strutturali. La prima è relativa ai rapporti politica-magistratura, il grande nodo del sistema politico italiano ormai da quasi trent’anni, ovvero da Tangentopoli.
Parafrasando Carl von Clausewitz, il quale definiva la guerra la prosecuzione della politica con altri mezzi, è possibile che anche nelle democrazie consolidate la via giudiziaria possa essere utilizzata da taluni interessi, appunto strumentalizzandola,come prosecuzione della lotta politica con altrimezzi.
Per carità, nulla di strutturalmente nuovo: il caso Montesi, che affossò ingiustamente la candidatura di Piccioni alla successione di De Gasperi, risale alla metà del secolo scorso. Ma le intercettazioni ambientali e gli incontri notturni tra i personaggi – politici e magistrati, legati magari da vincoli coperti – emerse in questi giorni sembrano riattualizzare le forme di questa parafrasi della dottrina del nobile prussiano dell’epoca napoleonica.
Di qui la seconda e più rilevante considerazione strutturale. L’unico antidoto a forme degenerative, che sono ovviamente sempre possibili, è da un lato il tono delle istituzioni, dall’altro la qualità dei soggetti e dunque dei loro comportamenti. Ha detto Mattarella: “La Costituzione prevede che l’assunzione di qualunque carica pubblica – ivi comprese, ovviamente, quelle elettive – sia esercitata con disciplina e onore, con autentico disinteresse personale o di gruppo; e nel rispetto della deontologia professionale”.
Non servono ennesime riforme istituzionali. Ma bisogna che le istituzioni abbiano il loro tono, la loro dignità, solennità. In effetti il più insidioso pericolo di questo circuito di malaffare è proprio alimentare un circuito perverso di sfiducia, di delegittimazione per cui finisce coll’avere ascolto solo che la grida più forte e la spara più grossa e non l’impegno a cambiare in meglio.
Serve più equilibrio insomma tra le istituzioni e servono attori più adeguati. Ma salvaguardare ed anzi rafforzare le istituzioni e poterne cambiare anche in fretta gli esponenti che non appaiono adeguati è proprio il bello della democrazia.