di Daris Giancarlini
Il giochino è vecchio come il cucco dal punto di vista televisivo: escono notizie su arresti legati a questo o quel partito, si invitano ai dibattiti (!) esponenti di questo e quell’altro partito, gli uni attaccano e gli altri si difendono, recitando frasi preconfezionate del tipo “a parte l’aspetto giudiziario, politicamente è una vergogna” e, di rimando, “aspettiamo la sentenza definitiva”.
È un copione immutabile: la politica non ha trovato, da Mani pulite in poi, altri modi per reagire alle iniziative della magistratura. E la televisione non ha prodotto, in tanti anni, altri moduli per commentare, approfondire, rilanciare e far capire veramente i contenuti delle inchieste.
Nessuno riesce mai ad andare più in là di “il mio compagno di partito è innocente fino al terzo grado di giudizio” o, dall’altro versante, “l’avviso di garanzia è già una condanna, politicamente parlando”.
Con il risultato di smascherare un mondo politico che usa, o vorrebbe usare, la giustizia e le inchieste soltanto a proprio uso e consumo. Basti valutare il comportamento dei cinquestelle negli ultimi mesi: quando si è saputo dell’indagine sul sottosegretario leghista Siri, siccome si era in campagna elettorale per le europee, ne sono state chieste con toni duri le dimissioni, ottenendole.
Dopo il voto, e dopo il calo consistente di consensi ai grillini, i toni si sono ammorbiditi, fino a farsi evanescenti, alla notizia di arresti di persone che con la Lega avevano avuto – come sembra rapporti di collaborazione alla stesura del programma. Altro che giustizia a orologeria!