L’interminabile (e chissà se terminata) campagna elettorale alla fine ha prodotto due punti in meno di partecipazione al voto, al 56,09%. Che proiettano comunque l’Italia ancora tra i Paesi dell’Unione con più alto tasso di partecipazione. I risultati sono molto chiari.
Si ribaltano i rapporti di forza tra i contraenti il contratto di governo. La Lega schizza oltre il 34 e i cinquestelle non raggiungono la metà di un risultato che è di assoluto rilievo per il partito di Salvini. Il Partito democratico supera il partito fondato da Grillo recuperando consensi trasversalmente. Gli altri dell’(ex) centro-destra mantengono consensi, ma Forza Italia ad una sola cifra.
Per considerazioni più approfondite sull’evoluzione complessiva del sistema bisognerà attendere i ballottaggi per le città capoluogo di provincia chiamate alle urne insieme ad oltre tremila Comuni, ma almeno tre punti possono fin d’ora essere sottolineati. Il Movimento, che dimezza la percentuale dei voti al livello nazionale,sfiora comunque il 30% nella circoscrizione Sud e in quella delle isole.
Di qui l’interrogativo se si tratti di un dato residuale in una china di rapido declino, oppure un dato da cui ripartire: ma come? Il secondo e fondamentale punto è che ad ogni elezioni ormai, di qualsiasi livello, si produce un significativo spostamento di milioni elettori, non solo dal voto all’astensione o viceversa, ma anche tra partiti.
È la conferma di un dato che avvicina sempre più la politica al marketing, e comunque dice di elettori insofferenti e insoddisfatti. Esiste una questione sociale europea, che interagisce con una questioni sociale “globale”, che probabilmente non ha ancora trovato composizione e soprattutto una interpretazione politica precisa. Questa “questione sociale” di nuovo tipo, che non interessa solo i margini di povertà, ma il corpo centrale della società, attraversa tutti i Paesi e ovviamente interessa anche l’Italia.
Di qui i due interrogativi che, dal punto di vista italiano, il risultato consegna. Il primo è di carattere “domestico”.
Come dimostrano i precedenti di Berlinguer 1984, Berlusconi 1994, Renzi 2014, vincere le elezioni europee non significa poi vincere le politiche successive. Per cui bisogna chiedersi come il vincitore del 26 maggio, ovvero Matteo Salvini, capitalizzerà il suo successo. Dopo un lungo sonno e violenti alterchi il Governo dovrà necessariamente cominciare a dare risposte alle questioni sul tappeto e sulle prospettive a medio termine.
Il secondo interrogativo è sull’assetto europeo. Il dimagrimento dei due principali gruppi, la frammentazione, rilanciano la sfida, per tutti, sulla nuova questione sociale. Che è anche questione sugli obiettivi e sul rilancio del disegno europeo. Una Unione assolutamente necessaria, che questo esemplare esercizio di democrazia ha confermato come uno spazio straordinario di sviluppo, ma che giustamente tutti dicono deve cambiare passo.
E per questo servono anche riferimenti morali, ideali e culturali. Di cui riappropriarsi molto, molto presto.
Francesco Bonini