di Paolo Bustaffa
Resi noti i volti, i programmi e le alleanze, la macchina elettorale per le elezioni europee del 26 maggio si muove sferragliando.
All’appuntamento ci si prepara senza l’entusiasmo e la fiducia che si ebbero nel 1979 per la prima elezione a suffragio universale del Parlamento europeo la cui presidente fu Simone Weil, una donna scampata ai lager nazisti, una indomita combattente per la libertà e la democrazia, una convinta sostenitrice che l’unità europea potesse restituire speranza alle nuove generazioni.
Sono trascorsi 40 anni da quelle elezioni: troppi perché le ricordi una società sempre più schiacciata sul presente, sempre più impoverita di memoria, sempre più incapace di accompagnare i giovani verso il domani.
La politica che si presenta all’appuntamento del 26 maggio appare più malata del malato che vorrebbe curare. Non colma, quindi, il vuoto provocato da anni di fragilità del percorso comune europeo e neppure incoraggia a guardare oltre gli orizzonti ristretti dell’interesse nazionale.
La cultura, a sua volta, fatica a superare il muro dello slogan che si contrappone mietendo consensi al ponte del ragionamento.
In questo contesto l’errore da evitare è rassegnarsi, consegnare l’utopia nelle mani di quanti la deridono con un rumoroso e rassicurante pragmatismo.
“Ma – scrive il filosofo Paul Ricoeur in ‘L’Europa e la sua memoria’ – i popoli non possono vivere senza utopia, al pari degli individui senza il sogno. A tal riguardo, l’Europa senza frontiere rigide è un’utopia, perché essa è innanzitutto un’Idea. L’espressione stessa di orizzonte d’attesa evoca in qualche modo l’utopia; l’orizzonte è ciò che non è mai raggiunto”.
Ma non è perdente sostenere il senso e il valore dell’utopia di fronte a una politica e a una opinione pubblica imprigionate in un presente senza respiro e senza futuro?
“L’importante – risponde il filosofo francese – è che le nostre utopie siano utopie responsabili: tengano conto del fattibile e dell’auspicabile, vengano a patti non solo con le resistenze spiacevoli della realtà ma anche con le vie praticabili tenute aperte dalla coscienza storica”.
La riflessione diventa, nello stesso tempo, impegnativa e affascinante perché porta il pensare e l’agire alle soglie del futuro, verso le quali sono incamminate le nuove generazioni come dimostrano le manifestazioni di questi giorni.
Sono i giovani a dire che l’utopia non è una fuga dalla realtà e che l’etica della convinzione deve essere declinata con l’etica della responsabilità.
Integrare un’etica con l’altra, afferma Ricoeur,“resta un grande compito, forse la più grande utopia”.
Un grande compito nelle mani dei giovani.