Ma mica puoi andare avanti con i chiodi fissi!, potrebbe dirmi il lettore dell’abat jour della scorsa settimana. Già. Ma non sono stato io a vibrare le martellate che di un chiodo vagante hanno fatto un chiodo fisso. Faccio un esempio. Anno 1986, primi di maggio. Il vescovo Antonelli mi telefonò a San Girolamo, dove da 12 anni vivevo in comunità con (molto più che per) disabili assortiti: ‘Vieni a pranzo con me?’. A Sant’Ubaldo, ristorante Funivia. Obbedienza ovviamente pronta. Andai, e insieme al mio Vescovo trovai il card. Pietro Palazzini. Com’è bello mangiare di buon appetito accanto ad un cardinale piccolo, rotondetto, sagace e di buon appetito, chiacchierando del più e del meno. Poi il discorso cadde sul fatto che da poco la parrocchia di Padule era rimasta scoperta. Antonelli si stringeva nelle spalle: un gesto che – ahimé! – molti, troppi vescovi in futuro erano destinati a riproporre. Il Cardinale: ‘Perché non se ne fa carico lei?’. Un refolo di fettuccine al sugo rimaneva a mezz’aria. Sono stato parroco di Padule dal 1986 al 1992. E naturalmente da San Girolamo, dove vivevo fin dal 1974, ho portato con me mio figlio Franco e un gruppetto di disabili, accuditi dalla dott.ssa Botta che, essendo anche lei in carrozzina, lo faceva al meglio. E naturalmente qualche tempo dopo abbiamo aperto una cooperativa, La Saonda, per accogliere e inserire nel lavoro ragazzi oligofrenici della parrocchia i cui genitori l’avessero gradito: lo gradì una minoranza, ma le new entries furono diverse. Com’è andata? Comme si, comme Èa. Da una parte io sono stato un parroco troppo mediocre, dall’altra le due esperienze, quella della parrocchia e quella del gruppo di accoglienza, non si sono fuse, si sono capate come l’acqua e l’olio. Giustapposte. Però. Però. Però sul piano dell’evangelizzazione, a disposizione di chi voleva coglierlo, c’era un dato almeno potenzialmente molto stimolante. I bambini che venivano al catechismo trovavano catechisti e catechiste affabili e, a volte, addirittura competenti; poi vedevano la lampada sempre accesa davanti al Sacramento (avrebbe dovuto esserci molto più spesso anche il parroco, ma lui, come tutti quelli come lui, aveva sempre qualcos’altro da fare); infine, e soprattutto, incontravano nei locali della parrocchia, accolti e accuditi come si conviene a persone di serie A, o persone tout court, molti dei ragazzi sui quali la sera molti dei loro genitori sghignazzavano al bar, come fossero scimmie. Comme si, comme Èa. Ma di per sé non era – quella – una buona evangelizzazione? Per res, naturalmente, che è poi (forse) meglio dell’evangelizzazione per verba, vista l’inflazione a due cifre che ogni giorno deprezza il mondo delle parole tanto care ai parolai incalliti come me.
Comme si, comme Èa
AUTORE:
Angelo M. Fanucci