Quando si parla del sacramento della penitenza, lo si indica con diversi nomi: penitenza, confessione, riconciliazione. Come mai? E poi, non è sempre stato celebrato allo stesso modo nel corso dei secoli
Come ogni altro sacramento, anche la penitenza ha avuto un suo sviluppo teologico e rituale nella storia della Chiesa. Tutto trae origine dalla sacra Scrittura, in particolare dal Nuovo Testamento, dove è chiaro che una prassi penitenziale cristiana in epoca apostolica era presente, seppure in modo diverso da come la conosciamo oggi.
Il Concilio di Trento fonda sapientemente l’istituzione di questo sacramento sul Vangelo di Giovanni (20,22 23): “Detto questo, soffiò e disse: ‘A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati’”. Se guardiamo lo sviluppo storico della prassi penitenziale possiamo cogliere in maniera sintetica, anche se non esaustiva, quattro fasi. Con la prima facciamo riferimento alla “penitenza pubblica o antica” nei primi secoli di vita della Chiesa, con la quale ci troviamo di fronte ad una prassi non reiterabile, riservata ai peccati gravi.
Ruolo fondamentale lo aveva il vescovo, con il compito di ammettere ad inizio Quaresima nell’ ordo (ordine/gruppo) dei penitenti il peccatore, il quale veniva poi riconciliato con la comunità prima della Pasqua. A partire dal VII secolo si inizia a diffondere invece la “penitenza tariffata”, la cui caratteristica principale è la reiterabilità. Chiamata “tariffata” perché ad ogni peccato era collegata una data penitenza, e questo per rendere più omogena possibile la penitenza tra i peccatori e aiutare i sacerdoti nella cura delle anime.
Dall’XI secolo si fa strada la “penitenza privata”, nella quale il penitente si rivolgeva al sacerdote che impartiva l’assoluzione e una penitenza più leggera rispetto alle prassi preesistenti. Quest’ultima forma è quella codificata dal Concilio di Trento e rispecchia in certa misura anche l’attuale Rituale.
Entriamo così nella quarta e ultima fase, nella quale la riforma liturgica, dando risposta all’invito del Concilio Vaticano II sulla revisione del rito e delle formule di questo sacramento, ha dato vita al nuovo Ordo paenitentiae promulgato il 2 dicembre 1973. In esso troviamo tre riti diversi: il rito per la riconciliazione dei singoli penitenti (il più frequente), il rito della riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale (un rito penitenziale inserito nella celebrazione della Parola di Dio), ed infine il rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale (in Italia, non ammessa).
Per quanto riguarda poi il nome che viene dato a questo sacramento nel “Rituale romano”, lo troviamo indicato come “rito della penitenza”, ma non di rado sentiamo altri appellativi che in genere corrispondono a ciò che del sacramento si vuole sottolineare.
Un esempio, oggi spesso viene chiamato sacramento della riconciliazione “perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia” spiega il Catechismo della Chiesa cattolica(ai nn. 1423 e 1424), sottolineando appunto la dimensione della riconciliazione con Dio e con la Chiesa.
Viene chiamato più comunemente “confessione”, sottolineando così solo una parte del sacramento che è quella, essenziale, della confessione delle colpe al ministro; ma “in un senso profondo esso è anche una ‘confessione’, riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore” (CCC, n. 1424).
Don Francesco Verzini